Romualdo, nato a Ravenna attorno al 950, sacerdote monaco e asceta, visse con straordinaria intensità l'ideale monastico. Esponente di una famiglia nobile, era figlio del duca Sergio degli Onesti di Ravenna. Sconvolto da una tragedia in famiglia, decise di farsi monaco (aveva solo 20 anni), ed entrò nell'antico monastero di Sant'Apollinare in Classe. Ma non vi si trovò bene. Si recò presso un eremita in territorio veneziano, sottoponendosi alla sua guida spirituale. Poi passò in abbazia di San Michele in Catalogna, dove Romualdo si trattenne dieci anni e compì la sua formazione. Ritornato in Italia nel 988, si dedicò a vita eremitica presso Ravenna. Rinunciò poi alla dignità di Abate e fondò un nuovo monastero in onore di San Michele Arcangelo. A causa però dei continui richiami disciplinari ai suoi monaci, venne cacciato via dal suo monastero. Intorno all'anno 1001 il giovane imperatore Ottone III convinse l'eremita a divenire Abate di Sant'Apollinare in Classe; ma la sua vocazione era quella della solitudine e del rinnovamento della vita eremitica e quindi, dopo appena un anno, rinunciò all'incarico, e si recò a Montecassino. Intorno al 1014 Romualdo fondò un eremo nelle Marche, nelle falde del Monte della Strega, tra Monte Catria e Monte Cucco, nel comune di Scheggia e, dopo poco, vi aggiunse un piccolo monastero (cenobio) con una chiesa. Alla fine si recò a Camaldoli. Romualdo visse circa 75 anni: morì il 19 giugno tra il 1023 nella località Valdicastro, vicino a Fabriano, in solitudine. La sua biografia è stata raccolta da San Pietro Damiani, quasi immediatamente dopo la sua morte.
San Romualdo, anacoreta e padre dei monaci Camaldolesi, che, originario di Ravenna, desideroso di abbracciare la vita e la disciplina eremitica, girò l'Italia per molti anni, costruendo monasteri e promovendo ovunque assiduamente tra i monaci la vita evangelica, finché nel monastero di Val di Castro nelle Marche mise felicemente fine alle sue fatiche.
Dalla «Vita di san Romualdo» scritta da san Pier Damiani.
Romualdo, abitando per tre anni nella città di Parenzo, nel primo anno fondò un monastero e vi mise un abate con i fratelli, negli altri due invece rimase chiuso e ritirato. Ivi la grazia di Dio lo portò a tale altezza e grado di perfezione che, ispirato dallo Spirito Santo, previde alcune cose che poi si verificarono puntualmente e con i raggi dell'intelligenza penetrò i misteri celati dell'Antico e del Nuovo Testamento. Spesso infatto la contemplazione di Dio lo rapiva in modo così intenso che, quasi tutto sciolto in lacrime e bruciando di un indicibile ardore d'amore di Dio, diceva a gran voce: «Caro Gesù, pace del mio cuore, desiderio ineffabile, dolcezza e soavità degli angeli e dei santi», ed altre espressioni consimili. Ciò che egli diceva con giubilo sotto l'azione dello Spirito Santo, noi non siamo capaci di esprimerlo con parole umane, neppure in minima parte.
Dovunque poi il santo avesse disposto di abitare, costruiva dapprima un oratorio con l'altare in una piccola cella, e poi si rinchiudeva e proibiva ad altri di entrarvi. Cambiò diverse volte residenza. Alla fine, sentendo ormai prossimo il momento di terminare i suoi giorni, ritornò al monastero che aveva costruito in Val di Castro, ed ivi aspettando senza timore la morte, decise di costruirsi una cella con oratorio, in cui starsene rinchiuso in silenzio, fino alla sua partenza dal mondo.
Edificato dunque l'eremitaggio si apprestava a rinchiudersi, quando il suo corpo cominciò a declinare rapidamente più per l'avanzata vecchiaia che per malattia. Le forze venivano meno e i malanni si aggravavano. In questa condizione, una volta su far del tramonto fece uscire dalla sua cella i due fratelli che lo assistevano, ordinando lodo di chiudere la porta e di ritornare solo per il Mattutino all'indomani. Quelli però lo compiacquero di malavoglia, preoccupati del suo stato allarmante. Invece poi di allontanarsi, si appostarono lì vicino tendendo l'orecchio. A un certo momento, non udendo più nulla, rientrarono in fretta, accesero il lume e trovarono il santo già cadavere.
La sua anima beata era partita per il cielo. Quella gemma preziosa, il cui valore restava ignoto al mondo, veniva riposta nel tesoro del sommo Re.