preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Capita sovente che Gesù sia posto sotto interrogatorio dai suoi nemici. Le sue risposte sono sempre illuminanti e chiare perché egli parla con autorità, con coerenza e franchezza. Aveva scacciato a frustate i venditori dal tempio che l'avevano trasformato in una spelonca di ladri. Non aveva lesinato pesanti giudizi nei loro confronti chiamandolo razza di vipere e denunciando la loro incoerenza quando imponevano con meticolose prescrizioni pesanti oneri sugli altri mentre loro si dispensavano da ogni osservanza o la praticavano solo per essere ammirati dagli uomini. Oggi rivolgono a Gesù una precisa domanda: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farlo?». Gesù questa volta risponde ponendo loro a sua volta una precisa domanda in merito del battesimo di Giovanni, che tanti avevano ricevuto come gesto penitenziale e promessa di conversione. La domanda è imbarazzante per loro e non osano e non sanno rispondere. Questi impudenti rappresentanti della legge, nella loro miopia spirituale, insieme a tanti che ne avrebbero seguito e ne seguono ancora l'esempio, interrogano il Cristo dopo aver rifiutato di riconoscerlo nei segni e nel messaggio che egli stava dando all'umanità. L'uomo osa mettere sotto accusa lo stesso Signore, la Verità incarnata. È il colmo della presunzione, è l'assurdo della superbia, è il rinnegamento e il rifiuto colpevole del dono della fede. Gesù in questi casi terribili, che ancora accadono, ripete ancora: "Neanch'io vi dico ". È inutile ogni parola quando c'è il rifiuto sistematico della verità. È una terribile forma di cecità spirituale. Che Dio ci scampi e liberi da questo male!
Io non temo più Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Facciamo quel che dice il profeta: «Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca mentre l'empio mi sta dinanzi; sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto anche di cose buone» (Sal 38,2-3 Volg.). Qui il profeta ci mostra che, se per amore del silenzio dobbiamo alle volte astenerci dai discorsi buoni, tanto più per la pena del peccato, dobbiamo evitare quelli cattivi. Pertanto, per custodire la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente il permesso di parlare, fosse pure di argomenti buoni, santi ed edificanti; poiché sta scritto: «Nel molto parlare non eviterai il peccato» (Pr 10,19); e altrove: «Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21).
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