Con orrore ascoltiamo quanto ci narra la prima lettura di oggi. Atàlia, madre del re deceduto, Azarìa, per assicurarsi il regno, fa uccidere tutti i possibili pretendenti, tutta la famiglia regale. A sua insaputa viene salvato però un figlio del re di due anni che viene tenuto nascosto. Quando egli raggiunse il settimo anno, per opera di sommo sacerdote Ioiàda, viene fatta giustizia. Jòas viene acclamato re e Atàlia, uccisa fuori del tempio. Sono vicende umane che si ripetono nella storia delle Nazioni in cui l'ambizione del comando e del potere, della ricchezza, con la sete di felicità e di successo perverte l'animo umano, spingendolo a esecrandi misfatti. Gli ammonimenti che ci vengono dal brano del vangelo potremmo vederli sulla stessa linea. Anche Gesù mette in guardia dal pericolo delle ricchezze. Sono beni effimeri che ci possono essere rubati da un momento all'altro. Non costituiscono la vera felicità dell'uomo che è altrove, nella umile obbedienza alla volontà del Signore. Non le porteremo con noi... Ci invita a procurarci quei tesori di grazia che nessuno potrà mai rubarci, se nel nostro cuore ci sono sincerità e rettitudine. E' dal cuore che escono fuori tutti i cattivi pensieri e indegne intenzioni. La limpidezza dello sguardo denota anche la rettitudine delle intenzioni. Quando entra dentro di noi il peccato, lo sguardo si fa oscuro, torbido... Suona dentro di noi come un campanello di allarme che ci mette in guardia contro deviazioni e ingiustizie. Allora dovremmo seguire il consiglio che San Benedetto, seduto a cena, suggeriva al monaco che gli reggeva il lume, agitato da pensieri di superbia: "Segna il tuo cuore, fratello, segna il tuo cuore! Non è retto quello che tu pensi!" Quante volte i nostri pensieri, le nostre intenzioni, le nostre azioni... sono contro la verità, benché avvolti da un manto di perbenismo. Ci liberi il Signore da tante doppiezze; ci doni la forza della sincerità del "sì, sì" e del "no, no" perché l'altro viene dal demonio...
Il padre Teodoro racconto: "Quando ero più giovane, ho abitato nel deserto. Un giorno andai al forno per fare due pani, ritrovai un fratello che voleva fare del pane, ma non aveva nessuno che gli desse una mano. Lasciai allora i miei pani per aiutarlo. Ma, appena fui libero, giunse un altro fratello, e ancora gli diedi una mano e feci i pani per lui. Quindi ne giunse un terzo e feci altrettanto, così per tutti quelli che venivano al forno della comunità: feci in tal modo sei infornate di pani. Infine, quando non venne più nessuno, feci i miei due pani".
I PORTINAI DEL MONASTERO Il monastero poi, se è possibile, deve essere organizzato in modo da avere all'interno tutto ciò che è necessario: cioè l'acqua, il mulino, l'orto, le officine per i diversi mestieri; cosicché i monaci non abbiano necessità di andar fuori, cosa questa che non giova affatto alle loro anime.
Vogliamo infine che questa Regola sia letta spesso in comunità, perché nessun fratello possa addurre il pretesto di non conoscerla.