Non è difficile ravvisare in questo uomo di nobile stirpe, che parte per un paese lontano, per ricevere un titolo regale e poi tornare, lo stesso Cristo. Domenica prossima, a conclusione dell'anno liturgico, celebreremo Cristo, Re dell'universo! La parabola delle mine o monete (nella nuova traduzione italiana), ci esorta ancora una volta, più che a smaniare di vana curiosità per le future manifestazioni, a far tesoro dei beni che il Signore gratuitamente ci ha dato e a perseverare nella fedeltà e nella vigilanza. Abbiamo una triste storia alle spalle: con il nostro peccato abbiamo lanciato un grido blasfemo contro il nostro Re e Signore: «Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi». È stata ed è la radice di ogni male, la premessa della peggiore infedeltà e la manifestazione del più assurdo tradimento. Ribellarsi a chi tutto ci dona soltanto per amore e per la nostra migliore felicità, questo è il peccato nella sua ìnfima espressione. La vita stessa, la nostra intelligenza e la nostra volontà che ci rendono somiglianti a Dio, ci devono servire per moltiplicare ed accrescere quei doni, dando così lode a Colui che è la fonte del bene e la felicità piena. Egli vuole donarci tutto come premio alla nostra fedeltà. Non importa valutare quanti talenti abbiamo ricevuto. Saremmo giudicati secondo giustizia e con misericordia, ma non potremmo accampare scuse. Tutti siamo in grado di raggiungere la santità, di impiegare al meglio quanto abbiamo ricevuto. Leggendo le vite dei santi ci accorgiamo che spesso quei nostri fratelli non erano particolarmente dotati, molti di loro forse avevano soltanto una mina... Eppure con eroica fortezza hanno saputo moltiplicarla e ricevere per questo il premio e la gloria. Troppo spesso ci càpita di rassegnarci alla mediocrità, immèmori delle dure parole del Signore: «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». Chiediamo oggi al Signore di poter riconoscere in noi i doni ricevuti e farli moltiplicare, per poter ricavarne il cento per uno. Anche con una mina sola si può guadagnare il mondo intero.
Un fratello andò da un eremita e uscendo dalla sua cella disse: Perdonami, o padre, perché ti ho impedito di adempiere alla tua regola. Quello rispose dicendogli: La mia regola è di accoglierti in modo ospitale e di farti andare in pace.
VESTI E CALZATURE DEI FRATELLI Ai fratelli si diano vesti secondo le condizioni e il clima dei luoghi dove risiedono, perché nelle regioni fredde si ha bisogno di più, in quelle calde di meno. Giudicare di questo spetta all'abate. Comunque noi pensiamo che nelle regioni a clima temperato siano sufficienti a ciascun monaco la tunica, la cocolla, una di pelo per l'inverno e una di stoffa liscia o consumata per l'estate e lo scapolare per il lavoro; le calze e le scarpe per i piedi. Quanto poi al colore o alla qualità degli indumenti, i monaci non vi facciano troppo caso, ma si accontentino di ciò che si trova nel territorio dove abitano o di quel che si può acquistare a minor prezzo. L'abate però si preoccupi della misura delle vesti, che non siano troppo corte per chi le deve indossare, ma di taglia giusta.