Continuiamo nella prima lettura l'incontro con cosiddetti profeti minori. Oggi Abacuc. Egli viveva nel tempo della dominazione caldea: una volta di più la situazione per gli Israeliti era angosciosa. Lo sguardo del profeta va dagli eventi a Dio e da Dio agli eventi. L'inizio è la proclamazione della santità di Dio: «Non sei tu fin da principio il mio Dio, il mio Santo?»; quindi la dominazione caldea è un flagello che egli usa per castigare i peccatori, per fare giustizia: «Tu hai scelto un popolo per fare giustizia, l'hai reso forte, o roccia, per castigare». Però la dominazione nemica va agli eccessi, impone una oppressione intollerabile; il profeta la considera e di nuovo volge lo sguardo a Dio: «Tu dagli occhi così puri, che non puoi vedere il male e non puoi guardare l'iniquità, perché, vedendo i malvagi, taci mentre l'empio ingoia il giusto?». Questa domanda: «Perché Dio tace, perché Dio non si muove, non pone limiti alla prepotenza degli invasori?» quante volte ci viene sulle labbra! E una pena che stringe il cuore vedere l'ingiustizia, la violenza che si diffondono nel mondo. Abacuc guarda come si comportano i Caldei e li paragona a dei pescatori: «Tu tratti gli uomini come pesci del mare, come un verme che non ha padrone. Egli (cioè il Caldeo) li prende tutti all'amo, li tira su con il giacchio, li raccoglie nella rete, e contento ne gode». E questo pescatore è idolatra: «Offre sacrifici alla sua rete e brucia incenso al suo giacchio, perché fanno grassa la sua parte e succulente le sue vivande». Però questa pesca in realtà è una strage: «Continuerà dunque a vuotare il giacchio e a massacrare le genti senza pietà?». Le situazioni di estrema necessità richiedono uno sforzo di riflessione e di preghiera. Così fa Abacuc: «Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti». La risposta del Signore viene ed è introdotta con una speciale insistenza. Dio chiede che sia messa per iscritto, il che indica che si tratta di una cosa non immediata, che avrà però valore duraturo: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. E una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce». Bisogna avere pazienza e anche speranza: ciò che Dio dice - avverrà. «Se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà». E qual è il messaggio? E questo: «Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede». Nelle situazioni di gravi difficoltà è il momento di insistere sulla relazione con il Signore, di tener bene la sua mano, per poter resistere alla tempesta senza essere travolti verso l'abisso. «Il giusto vivrà per la sua fede». La fede è adesione al Signore, ferma, salda. Soltanto con la fede si è vincitori. «Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo», dice san Giovanni. «Questa è la vittoria che sconfigge il mondo, la nostra fede». Nel Vangelo di oggi Gesù ci dice: «Se avrete fede pari a un granellino di senapa, niente vi sarà impossibile». Nelle difficoltà quindi manteniamo la fede, manteniamoci uniti al Signore. E le difficoltà, invece di nuocerci, saranno occasioni di grazie preziose. Il Signore ce lo conceda.
Un fratello ha detto ad un anziano: «Io non vedo lotte nel mio cuore». L'anziano gli rispose: «Tu sei un edificio aperto da tutti i lati. Chiunque entra da te e ne esce a proprio piacimento. E tu, tu non sai ciò che accade. Se tu avessi una porta, se tu la chiudessi ed impedissi ai cattivi pensieri di entrare, allora li vedresti fermi all'esterno e combattere contro di te».
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI E difatti parlare e insegnare è compito del maestro, tacere e ascoltare è dovere del discepolo. Quindi, se si deve chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con tutta umiltà e sommo rispetto, in modo da non parlare più di quanto sia conveniente. Quanto poi alle volgarità, alle parole inutili o alle buffonerie, le escludiamo nel modo più assoluto da tutto l'ambito del monastero e non permettiamo che il discepolo apra la bocca a tali discorsi.