"Uscendo di là": dobbiamo intendere che Gesù lascia la scena precedente a Genesaret, ove aveva avuto luogo la disputa con i farisei venuti da Gerusalemme. Si ritira, dice Matteo, che con questo segnala non un puro spostamento ma all'avvertenza di un pericolo, un'intenzione di nascondimento. "Verso le regioni di Tiro e di Sidone", ossia verso un territorio fenicio, pagano [... ]. Ciononostante l'indicazione geografica rimane molto generica: è descritto un movimento in direzione di Tiro e Sidone, ma non è detto che Gesù raggiunga tali città. Al contrario, si dice che la donna era "uscita da quei confini". Gesù e la donna si incontrano, per così dire, a metà strada tra la terra di Israele e territorio cananeo, cioè pagano: entrambi sono accomunati da un movimento di uscita. [... ] Gesù si è ritirato, sì, ma si trova tuttora in terra di Israele, e non ha nessuna intenzione di varcarne la frontiera: al contrario, non si sente inviato che alla casa di Israele, alle sue pecore perdute. È la donna, perciò, che prende l'iniziativa, che gli va incontro e lo riconosce subito come il Messia, il "Figlio di David". Questo ci ricorda il programma davidico-messianico di assicurare a tutti i figli di Israele una pagnotta per ciascuno (2Sam 6, 19). Garantire il pane equivale a dare la vita. La donna chiede la guarigione la vita per sua figlia. Gesù non le risponde neppure una parola, con un atteggiamento di estrema severità, si direbbe quasi insensibile. Sono i discepoli in questo racconto a sembrare più umani, a pregare Gesù che almeno le dica almeno una parola di congedo. A questo punto viene la dichiarazione programmatica del v. 24: Gesù non vuole interessarsi dei pagani, non si ritiene inviato a loro. Ma la donna insiste e Gesù questa volta le risponde, però sempre in maniera negativa: non si può gettare ai cani il pane destinato ai figli. [ ...] La donna accetta questa prospettiva di esclusa, di non avente diritto: "È vero, Signore". Ma con una finezza che rivela un grande intuito di fede (un grande intuito del cuore di Gesù) si dichiara disposta proprio come i cagnolini a mangiare anche solo le briciole. Le briciole, ossia non tutto, ma solo il di più, quello che avanza, che rimane non consumato dai convitati, che cade a terra dalla tavola. E noi ci ricordiamo che, già nella prima moltiplicazione dei pani, non solo erano stati sfamati tutti i presenti, ma erano state raccolte dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quello che la donna Cananea percepisce, lo ripeto, con grande intuito, è che al banchetto del regno il pane non è contato: ce n'è in sovrabbondanza per tutti, e nessuno corre il rischio di rimanerne senza. Questo, ovviamente, lo sa bene anche il Signore. Il suo atteggiamento non è quindi governato da una riserva, dal timore che il pane possa non bastare per tutti: egli è mosso piuttosto dall'obbedienza a certi tempi, a certi momenti che sono iscritti nel sapiente disegno del Padre. Ma l'intuizione della donna, forse, chiarisce a Gesù stesso che i tempi si stanno avvicinando, quando anche i cagnolini saranno ammessi nella sala del banchetto. Per questo egli elogia la sua fede, la fede di chi sa accontentarsi delle briciole e a cui invece il Signore dà il pane. (da A. MELLO, Evangelo secondo Matteo, Qiqajon 1995, 282-284).
"L'abba Poimen disse: 'Quando medito, tre misteri si presentano ai miei occhi: che è cosa buona pregare senza sosta in ogni tempo davanti al Signore; porre la mia morte sotto il mio sguardo, ogni momento; e pensare che quando morrò sarò gettato nel fuoco a causa dei miei peccati'" Ma Dio mi sarà misericordioso.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Perciò tali monaci, lasciando immediatamente le loro cose e rinunziando alla propria volontà, liberate subito le mani e lasciando incompiuto quanto stavano facendo, con piede pronto all'obbedienza, adempiono con i fatti la voce di chi comanda. E così tutte e due le cose, cioè l'ordine del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo, si compiono insieme, prestissimo, quasi in uno stesso momento, con quella velocità ispirata dal timor di Dio: è l'anelito di camminare verso la vita eterna che li incalza. Perciò essi intraprendono la via stretta di cui il Signore dice: «Angusta è la via che conduce alla vita» (Mt 7,14); di modo che, non vivendo a proprio arbitrio e non regolandosi secondo i propri gusti e le proprie voglie, ma lasciandosi guidare dal giudizio e dal comando altrui, rimanendo stabili nel monastero, desiderano che un abate li governi. Senza dubbio uomini simili fanno proprio quel detto del Signore: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38).