All’inizio di questa pericope l’evangelista Marco ci ricorda il martirio del precursore del Signore, Giovanni Battista. Immediatamente dopo però ci dice che Gesù proclama il Vangelo del Regno e invita alla conversione. Ci viene così preannunciata una grande preziosa verità: la parola di Dio non è incatenata; abbiamo la conferma che il sangue dei martiri, cominciando dal Battista, è seme e vitalità, è linfa sempre nuova per i cristiani. La Chiesa per questo vive di una inarrestabile continuità e prodigiosa fecondità: proprio per questo la prima lettura ci fa riflettere su la figura di Anna sterile, ma poi prediletta e fecondata dall’amore: “Non sono forse io per te meglio di dieci figli?». Gesù sulle rive del lago vede altri operai idonei per la sua vigna. Egli li chiama. Rivolge loro un invito che echeggerà nei secoli: “Venite appresso a me!”. I primi sono Andrea e Simone. Avverrà un mutamento radicale nella loro vita come accade per tutti i chiamati: dovranno lasciare le reti per essere pescatori di uomini! C’è un “subito” reiterato che ci stupisce e meraviglia: il primo è dei due fratelli: “subito lasciarono le reti e lo seguirono”, il secondo “subito” è di Gesù stesso che guarda altri due pescatori anch’essi fratelli: “Subito li chiamò”. Suscita la nostra ulteriore ammirazione sia la chiamata autorevole di Gesù che l’immediata risposta dei chiamati. Il Signore chiama perché ama e chi è aperto all’amore divino non resiste, ma gioisce per quella chiamata senza opporre resistenza. Così Egli comincia a dirci: “Ecco io sto alla porta e continuo a bussare. Se uno sente la mia voce e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, io con lui e lui con me”. Comprendiamo così cosa voglia dire Gesù con quel “Vieni”, con quel “seguitemi” e cosa significhi diventare con Lui pescatori di uomini e poi cenare con Lui in un banchetto speciale umano divino.
Abba Irinio disse: Non ti stai fermando perché stai invecchiando. Stai invecchiando perché ti stai fermando.
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE L'abate, che è ritenuto degno di essere posto a capo del monastero, deve sempre ricordarsi di come viene chiamato e confermare con i fatti il suo nome di superiore. Si sa invero per fede che nel monastero egli fa le veci di Cristo, dal momento che viene chiamato col suo stesso nome, secondo la parola dell'apostolo: «Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!» (Rm 8,15).