Il colloquio che si svolge nel brano evangelico, scelto per la festa dell'apostolo Giacomo, è fin troppo chiaro nell'indicarci lo spirito con cui ci si deve mettere al servizio del Vangelo. Le categorie del pensare e dell'agire comuni sono rovesciate, così come lo sono nella seconda lettera ai Corinzi. Provate a considerare quale messaggio radicale e in controtendenza ci viene da questi passi. Si parla di croce, di morte, di sofferenza, e tutto questo vissuto nella speranza che "colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù", e ancora vi si dice che se si vuole comandare bisogna servire, che i primi posti da ricercare sono quelli che ci mettono a servizio dell'altro. Tentiamo di rileggere la nostra vita cristiana alla luce di questa parola e a pensare all'incidenza che termini quali quelli proposti hanno nei nostri comportamenti quotidiani: nel rapporto con la mia comunità parrocchiale, con la mia famiglia, nell'ambito del mio lavoro e in fondo con me stesso. Sì, perché il ricercare spasmodicamente il primo posto, in ordine al potere e non al servizio, potrebbe anche voler dire non sentirsi capaci di "habitare secum", (stare con sé stesso) espressione dei Dialoghi di Gregorio Magno e cara alla tradizione benedettina, con cui si vuole indicare la possibilità di un animo pacificato di stare solo, e di non dover provare necessariamente qualcosa a qualcuno. Scoprire i propri punti deboli è già un passo per poterli gestire e per conviverci. Forse anche Giacomo, dalla risposta di Gesù, si sarà sentito infastidito ed anche mortificato, ma il suo martirio ci dimostra che quell'insegnamento di Gesù è stato recepito e vissuto fino alle estreme conseguenze.
Chi è il monaco? E' monaco colui che da tutto è separato e a tutti è armoniosamente unito.
CONVOCAZIONE DEI FRATELLI A CONSIGLIO In ogni cosa poi tutti seguano la Regola come maestra e nessuno ardisca temerariamente allontanarsene. Nessuno in monastero segua le inclinazioni del proprio cuore; né alcuno abbia l'ardire di contendere ostinatamente con il proprio abate dentro o fuori del monastero; chi lo osasse, sia sottoposto alla disciplina regolare. L'abate però, da parte sua, faccia tutto nel timor di Dio e nell'osservanza della Regola, sapendo che di tutti i suoi giudizi dovrà senza dubbio rendere conto a Dio, giustissimo giudice.
Quando poi nel monastero si devono trattare questioni di minore importanza, l'abate si serva soltanto del consiglio degli anziani, poiché sta scritto: «Fa' tutto con il consiglio e dopo non te ne pentirai» (Sir 32,24).