Gesù interviene ancora per guarire; stavolta lo fa in una casa a lui familiare. Entra nell'abitazione di San Pietro e viene informato della malattia della suocera. La malattia è sempre un pericolo. E Gesù non interviene, come altre volte, in situazioni drammatiche. Guarisce la suocera di San Pietro semplicemente prendendola per mano. E ancora abbiamo un insegnamento per noi. Guardiamo da un lato la tenerezza del gesto di Gesù e dall'altro la risposta pronta della suocera. Il gesto di Gesù è delicato e in sintonia con l'ambiente; non ci sono demòni da scacciare, non vi sono ossessi da calmare o paralitici da guarire. La suocera è poi riconoscente di questa particolare attenzione ed la sua disponibilità pronta al servizio è segno di ospitalità, gratitudine, riconoscenza e consapevolezza che quello di Gesù non è una semplice guarigione ma un gesto di salvezza. Tutte le azioni di Gesù sono azioni salvifiche che devono avere una risposta pronta. L'azione di Dio è un dono gratuito ma se ad essa non corrisponde una risposta adeguata dell'uomo non può essere garanzia di salvezza. È un bel insegnamento per noi ed una indicazione per la nostra vita. Sappiamo riconoscere, infatti, l'agire salvifico di Gesù Cristo? È l'invito ad alzare i nostri cuori al Signore in un perenne rendimento di grazia. È l'apertura della nostra vita all'azione dello Spirito. Il servizio pronto della suocera di San Pietro è l'esortazione che anche la nostra vita sia aperta con la stessa disponibilità e la stessa generosità. In ciò troviamo la vera risposta alla grazia donata. L'amore e la grazie che Dio ci dona si devono tramutare in amore e riconoscenza verso i fratelli.
"L'abba Poimen disse: 'Quando medito, tre misteri si presentano ai miei occhi: che è cosa buona pregare senza sosta in ogni tempo davanti al Signore; porre la mia morte sotto il mio sguardo, ogni momento; e pensare che quando morrò sarò gettato nel fuoco a causa dei miei peccati'" Ma Dio mi sarà misericordioso.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Perciò tali monaci, lasciando immediatamente le loro cose e rinunziando alla propria volontà, liberate subito le mani e lasciando incompiuto quanto stavano facendo, con piede pronto all'obbedienza, adempiono con i fatti la voce di chi comanda. E così tutte e due le cose, cioè l'ordine del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo, si compiono insieme, prestissimo, quasi in uno stesso momento, con quella velocità ispirata dal timor di Dio: è l'anelito di camminare verso la vita eterna che li incalza. Perciò essi intraprendono la via stretta di cui il Signore dice: «Angusta è la via che conduce alla vita» (Mt 7,14); di modo che, non vivendo a proprio arbitrio e non regolandosi secondo i propri gusti e le proprie voglie, ma lasciandosi guidare dal giudizio e dal comando altrui, rimanendo stabili nel monastero, desiderano che un abate li governi. Senza dubbio uomini simili fanno proprio quel detto del Signore: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38).