Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
20 - 26 Marzo 2016
Settimana Santa , Colore rosso
Lezionario: Ciclo C, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Venerdì 25 marzo 2016

Tutto è compiuto...

Il racconto della Passione di Gesù Cristo, costituisce, anche da punto di vista cronologico, il primo nucleo della predicazione apostolica, il punto fondamentale della proclamazione della fede della Chiesa. Nella liturgia di oggi, la proclamazione della passione assume un'importanza centrale: il valore della Parola, come segno sacramentale della presenza attuale del Cristo, prende grande evidenza e polarizza a sé tutta la celebrazione di oggi. Sulla croce il Cristo realizza la suprema manifestazione del nome di Dio: Agapè. Il poema descrive la sofferenza Salvatrice e gloriosa del servo di Jahvè. Il suo dolore è un mistero. Quel dolore però rivela non il suo proprio peccato - egli è innocente - ma il peccato del popolo. Il servo accetta questo piano di Dio, consapevole che lo condurrà alla morte e ad una sepoltura. Cristo è il servo di Jahvè, è lui che si consegna alla morte per il popolo. La risurrezione costituisce la sua esaltazione.

La Chiesa oggi non celebra l'Eucaristia, ma invita i fedeli a rivivere nel silenzio adorante e nel modo più intenso possibile il mistero della morte di Cristo, la sua assurda condanna, l'atroce passione e la sua ignominiosa morte sul patibolo della Croce. E' così che potremmo trarne la più logica ed impegnativa conclusione: noi, responsabili in prima persona di quella morte, con i nostri peccati del re e Dio immerso nell'amore! L'adorazione che poi segue nell'altare della riposizione assume per tutti le caratteristiche della doverosa riparazione e della migliore gratitudine. Le chiese spoglie e disadorne ci aiutano ulteriormente a comprendere, da una parte la gravità della tragedia che si sta consumando nel mondo e dall'altra l'attesa di un evento risolutivo che già intravediamo nella fede e nella speranza ed è il mattino di Pasqua.

Lo vediamo come il servo: su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati tutti gli uomini. Oggi è il giorno della immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato l'oggetto dell'adorazione sul quale fu appeso il Salvatore del mondo. Siamo sempre sotto la croce. Non c'è momento, non c'è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.


SILENTI NELL'ATTESA
La Chiesa oggi ci conduce ai piedi della croce. Assume e realizza il mandato di predicare al mondo Cristo, e Cristo crocifisso. L'umanità intera è invitata a prostrarsi, ad adorare il mistero, a comprendere, per quanto ci è dato dalla fede, l'immensità del dono e tutta la gravità del male. Siamo invitati a vedere con umana e divina sapienza la croce di Cristo, ma anche le nostre croci: oggi il confronto è urgente se non vogliamo restare schiacciati dai nostri pesi. Abbiamo bisogno di illuminare di luce divina le vicende più tristi della nostra umana esistenza. Sorbire la luce della croce significa dare un senso, scoprire le finalità arcane e rivelate della sofferenza che ci accompagna, significa andare oltre le umane considerazioni che sappiamo fare con la nostra limitata intelligenza sul dolore, sul dolore dell'innocente, sulle vittime dei giudizi e dei pregiudizi umani. Dobbiamo confrontare e sovrapporre le nostre croci a quelle di Cristo per scoprire che anche il dolore, la passione, la stessa morte può diventare fonte di vita e germe di immortalità e di risurrezione. Quella croce, piantata sul monte, è conficcata anche nella nostra carne, nel nostro cuore; prima di essere di Cristo è nostra quella croce, ma ora è diventata l'albero fecondo della vita. Privi di questa luce e di questo salutare confronto s'intristisce il nostro mondo, bruciano le foreste e si rimboschiscono di croci; il dolore riassume tutta la sua cruda ed assurda realtà, i crocifissi restano perennemente appesi a quelle croci, i crociati senza speranza restano chiusi nella morsa della morte, il mondo diventa un triste cimitero. Adorare la croce di Cristo vuol dire allora far rinascere la speranza, convincersi che il peso maggiore è già stato assunto volontariamente dal nostro redentore, vuol dire che le croci non hanno più il potere di schiacciarci e di configgerci e gli stessi sepolcri sono aperti per lasciarci liberi di tornare a Dio.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Un anziano diceva: «Sopporta obbrobrio e afflizione per il nome di Gesù con umiltà e cuore contrito. E mostra davanti a lui la tua debolezza ed egli diverrà la tua forza».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

COME L'ABATE DEVE ESSERE PREMUROSO VERSO GLI SCOMUNICATI

L'abate abbia cura con la massima sollecitudine dei fratelli che hanno mancato, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9,12). E perciò deve, come un medico esperto, usare tutti i rimedi: mandargli in segreto delle «sempecte», cioè dei saggi monaci anziani, i quali quasi di nascosto facciano coraggio al fratello in preda all'agitazione e lo inducano alla soddisfazione e lo confortino perché egli non soccomba sotto un'eccessiva tristezza (2 Cor 2,7), ma, come dice ancora l'apostolo, si dia prova a suo riguardo di maggiore carità (2 Cor 2,8) e tutti preghino per lui.

Cap.27,1-4.