Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e stando nel Tempio dicevano tra di loro: «Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?». E' veramente strano: il miracolo compiuto da Gesù avrebbe dovuto portare a credere in lui, come l'inviato dal Padre, invece per i suoi nemici esso diventa incentivo di odio e di vendetta. Più volte Gesù aveva rimproverato i Giudei la malafede di chiudere gli occhi per non vedere. Infatti a causa del miracolo si approfondisce la divisione tra loro. Molti credono. Altri ne informano i farisei, suoi nemici giurati. Viene convocato il sinedrio e c'è una grande perplessità. Neppure gli avversari di Gesù possono negare il fatto del miracolo. Ma invece di trarne l'unica conclusione logica, riconoscerlo cioè come l'inviato dal Padre, temono che la diffusione dei suoi insegnamenti sia di danno alla nazione, travisando le intenzioni di Gesù. Temono la perdita del tempio. Càifa, somma sacerdote, sa come fare. Il suo suggerimento deriva da considerazioni di origine politico: il singolo deve essere "sacrificato" per il bene di tutti. Non si tratta di accertare quale sia la colpa di Gesù. Senza saperlo e senza volerlo, il sommo sacerdote, con la sua malvagia decisione, diventa strumento della divina rivelazione. Dio non permette che si perda uno dei suoi figli, anche se di fronte all'opinione umana appare perdente: manderà piuttosto i suoi angeli ad aiutarlo.
L'abate Giovanni ha detto: «Questa parola è scritta nel Vangelo: "Quando Gesù chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro, le sue mani e i suoi piedi erano legati e il suo viso cinto da un lino; Gesù lo sciolse e lo congedò. Noi dunque abbiamo le mani e i piedi legati e il nostro viso è stato coperto con un lino dalle mani del nemico? Se dunque ascoltiamo Gesù, Egli ci slegherà da tutto questo e ci libererà dalla schiavitù di tutti questi cattivi pensieri. Saremo allora figli del Signore, riceveremo le promesse in eredità e saremo figli del Regno Eterno».
SE I FRATELLI USCITI DAL MONASTERO DEVONO ESSERE ACCETTATI DI NUOVO Se un fratello, che per propria colpa ha lasciato il (o è stato espulso dal) monastero, vorrà rientrare, prima prometta di emendarsi totalmente del difetto per cui è uscito; e allora sia accettato, ma all'ultimo posto per provare così la sua umiltà. Se poi uscirà di nuovo, potrà essere riammesso alle stesse condizioni fino alla terza volta; ma sappia che in seguito gli sarà negata ogni possibilità di ritorno.