È una autentica tentazione, tra l'altro ricorrente nella storia, quella di restare legati e vincolati alle tradizioni degli antichi, senza accorgersi delle novità che sopraggiungano. Si rischia così di cadere in un precoce invecchiamento dello spirito, una specie di ottenebramento mentale e ancor peggio, in atteggiamenti di critica assurda, anche delle migliori novità. Ecco gli scribi che ancora una volta lanciano i loro miseri strali verso gli apostoli e verso il Signore. Come possono in quello stato di colpevole cecità accorgersi della novità del messaggio che Egli sta annunciando? Dovrebbero essere loro le guide sagge ed illuminate, sono invece ciechi e guide di ciechi. Cristo è la novità prima ed ultima. È la rivelazione della gloria del Padre. Il testimone della sua misericordia: è venuto a fare nuove tutte le cose; Egli è il Figlio di Dio, ma solo nell'umiltà della fede lo si riconosce come tale. Non sicuramente nell'arroganza e nella critica gratuita. Gesù coglie l'occasione per ricordarci che non siamo inquinati dal cibo che prendiamo o dalla mancanza di un rito di abluzione, ma dai pensieri malvagi che sgorgano da un cuore inquinato. C'è poi un forte richiamo per tutti i credenti in questo brano, ma particolarmente per coloro che hanno ricevuto o si arrogano il compito di educare, di annunciare le verità supreme e di essere testimoni credibili di quelle verità. Criticare e blaterare dai vari pulpiti è fin troppo facile, essere sempre coerenti con quanto si annuncia richiede sacrificio, molta preghiera e una particolare illuminazione dello Spirito Santo.
"L'abba Poimen disse: 'Quando medito, tre misteri si presentano ai miei occhi: che è cosa buona pregare senza sosta in ogni tempo davanti al Signore; porre la mia morte sotto il mio sguardo, ogni momento; e pensare che quando morrò sarò gettato nel fuoco a causa dei miei peccati'" Ma Dio mi sarà misericordioso.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Perciò tali monaci, lasciando immediatamente le loro cose e rinunziando alla propria volontà, liberate subito le mani e lasciando incompiuto quanto stavano facendo, con piede pronto all'obbedienza, adempiono con i fatti la voce di chi comanda. E così tutte e due le cose, cioè l'ordine del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo, si compiono insieme, prestissimo, quasi in uno stesso momento, con quella velocità ispirata dal timor di Dio: è l'anelito di camminare verso la vita eterna che li incalza. Perciò essi intraprendono la via stretta di cui il Signore dice: «Angusta è la via che conduce alla vita» (Mt 7,14); di modo che, non vivendo a proprio arbitrio e non regolandosi secondo i propri gusti e le proprie voglie, ma lasciandosi guidare dal giudizio e dal comando altrui, rimanendo stabili nel monastero, desiderano che un abate li governi. Senza dubbio uomini simili fanno proprio quel detto del Signore: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38).