Gesù ha parlato della comunione di vita con i suoi, realizzata con la sua presenza in chi lo ama e ne osserva i comandamenti, e attraverso la presenza dello Spirito, ora accentua nuovamente questi legami con un'altra similitudine: la vite a i tralci. "Come il traccio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me". Si tratta di una rivelazione del rapporto che Gesù intende avere con noi che, se presa sul serio, avrebbe veramente il potere di sconvolgere tutta la nostra vita. Tutto questo si è verificato concretamente nella vita dei santi, le cui opere hanno dato lustro e beneficio all'umanità nel tempo della loro vita e oltre. Naturalmente queste parole di Gesù non riguardano solo i grandi santi, ma anche ogni battezzato, ciascuno di noi che vive unito a Cristo. In realtà ogni cristiano è chiamato ad essere il tralcio che il Padre, da buon vignaiolo, aiuta a crescere, e quanto più il tralcio è buono, tanto più viene potato e dà più frutto. Misteriosa economia di Dio! La condizione di questa vitalità il Signore Gesù ce l'ha manifestata, dicendoci: "rimanete in me". E perché non pensassimo che si potesse rimanere in Cristo in qualsiasi maniera, ha specificato: "Rimanete nel mio amore". La comunione del discepolo con Cristo nella fede e nei sacramenti, fa sì che egli porti molto frutto. La vita di una comunità ecclesiale, deve essere valutata non dal suo attivismo, che potrebbe alla fine manifestarsi anche privo di frutti, ma dalla sua fecondità, attinta alla profonda intimità con Gesù, fatta di ascolto della sua Parola, di fervida preghiera e di docilità negli eventi della propria vita. Rimaniamo in lui, per poterci nutrire da quella linfa che è l'unica a dare la vera vita, quella eterna.
L'Abba Pastor disse: Proprio come il fumo fa uscire le api dall'alveare in modo che il miele venga loro sottratto, così una vita comoda priva l'anima dell'uomo del timor di Dio e cancella tutte le sue opere buone.
GLI ARTIGIANI DEL MONASTERO Se nel monastero vi sono degli artigiani, esercitino la loro arte in tutta umiltà e solo con il consenso dell'abate. Se però qualcuno di loro si insuperbisce per la perizia acquisita nella sua arte e perché pensa di recare una qualche utilità al monastero, costui sia sospeso da quell'attività e non torni ad esercitarla se prima non si sarà umiliato e l'abate non glielo avrà concesso di nuovo