Gesù nel breve Vangelo di oggi ci offre un insegnamento molto significativo sul ruolo della nostra testimonianza, che diventa luce che illumina. “Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso”. Il cristiano, se vuole imitare Gesù, non può essere una persona che nasconde dentro di sé la propria fede, come un tesoro che debba servire a lui solo. Questa forma di cristianesimo che bada soltanto alla propria salvezza, rifiutando la spinta missionaria, non si può chiamarsi tale. L'invito che Gesù ci fa è quello di splendere della sua luce. La trasparenza del Vangelo non si limita cioè a qualche buon esempio, ma a una certa maniera di vivere, di decidere, di disporre di se stessi, della propria vita. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Il Signore Gesù che ci esorta ad essere “luce che splende” e che colpisce l'attenzione degli altri, si preparava egli stesso ad essere testimonianza chiara d'amore. Egli aveva già deciso che sarebbe stato per i secoli dei secoli il segno dell'amore. Affinché la trasmissione del messaggio evangelico sia autentica ed efficace, è necessario che la comunità dei credenti si ponga in ascolto attento e corretto della parola di Dio. E' il senso della esortazione: “Fate attenzione dunque a come ascoltate”. L'ascolto poi nel tempo della Chiesa è soprattutto lettura della Sacra Scrittura, che i discepoli di Gesù debbono fare in riferimento a lui e al suo evento pasquale per riviverlo in se stessi. E' garanzia rifarsi attualmente al documento conciliare 'Dei Verbum' per una lettura corretta e per una interpretazione autentica, altrimenti si potrebbe correre il rischio di non conoscere nemmeno quello che si presume di sapere e, spegnere quella lampada che con tanta premura era stata collocata sul candelabro. Gesù, luce del mondo, ha acceso il suo fuoco nei discepoli: divamperà fino agli estremi confini della terra.
Un anziano diceva: «Sopporta obbrobrio e afflizione per il nome di Gesù con umiltà e cuore contrito. E mostra davanti a lui la tua debolezza ed egli diverrà la tua forza».
COME L'ABATE DEVE ESSERE PREMUROSO VERSO GLI SCOMUNICATI L'abate abbia cura con la massima sollecitudine dei fratelli che hanno mancato, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9,12). E perciò deve, come un medico esperto, usare tutti i rimedi: mandargli in segreto delle «sempecte», cioè dei saggi monaci anziani, i quali quasi di nascosto facciano coraggio al fratello in preda all'agitazione e lo inducano alla soddisfazione e lo confortino perché egli non soccomba sotto un'eccessiva tristezza (2 Cor 2,7), ma, come dice ancora l'apostolo, si dia prova a suo riguardo di maggiore carità (2 Cor 2,8) e tutti preghino per lui.