Il re Davide quando dopo il suo duplice e gravissimo peccato implora il perdono, così supplica da Dio: “Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato”. Egli intende chiaramente un lavaggio di purificazione interiore che solo con la divina misericordia e il perdono si ottiene. I soliti farisei invece, pervasi dal loro formalismo esteriore che spesso li induce alla meschinità e alla peggiore ipocrisia, sono all'opposto convinti che dalle pratiche rituali, lavaggi e abluzioni varie, possano derivare una completa giustificazione. Per questo si sentono in dovere di rimproverare apertamente i discepoli del Signore che non si assoggettano a tali consuetudini. Gesù corregge tale grossolano errore enunciando un sacrosanto principio: “Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca questo rende impuro l’uomo!” La falsità interiorizzata e proclamata fa dei farisei che dovrebbero essere maestri e modelli di saggezza, delle guide cieche che si propongono come guide di altri ciechi. Questo è il pesante rimprovero di Gesù. Che ammonimento per tutti coloro che sono chiamati ad essere educatori e maestri di verità! E che rischio per chi ha il compito per vocazione di essere un testimone credibile delle supreme verità di Dio. La coerenza è una virtù rara anche se urgentissima soprattutto quando riguarda i valori della fede e della santa religione. Il pensiero va particolarmente ai ministri dell’altare, ai docenti delle verità di Dio, a tutti coloro che hanno il compito di annunciare con la parola e con la vita le verità enunciate da Cristo Gesù nel suo Vangelo. Come esorta il Concilio Vaticano II, ogni fedele, ogni battezzato deve essere un autentico testimone sempre, anche quando la fedeltà costa: brillano per questo gli esempi dei martiri di ogni epoca fino ai nostri giorni.
Io non temo più Dio, lo amo. Perché l'amore caccia il timore.
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI Facciamo quel che dice il profeta: «Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca mentre l'empio mi sta dinanzi; sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto anche di cose buone» (Sal 38,2-3 Volg.). Qui il profeta ci mostra che, se per amore del silenzio dobbiamo alle volte astenerci dai discorsi buoni, tanto più per la pena del peccato, dobbiamo evitare quelli cattivi. Pertanto, per custodire la gravità del silenzio, ai discepoli perfetti si conceda raramente il permesso di parlare, fosse pure di argomenti buoni, santi ed edificanti; poiché sta scritto: «Nel molto parlare non eviterai il peccato» (Pr 10,19); e altrove: «Morte e vita sono in potere della lingua» (Pr 18,21).