Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
19 - 25 Febbraio 2012
Tempo Ordinario VII, Colore verde
Lezionario: Ciclo B | Anno II, Salterio: sett. 3

Commento alle Letture

Domenica 19 febbraio 2012

Cosa è più facile?

È la domanda che Gesù rivolge agli scribi. La domanda nasce dalla situazione nella quale è posto lo stesso Gesù e si riferisce alle Sue azioni. Gli è posto davanti un paralitico. Gesù, per prima cosa gli perdona i peccati e poi, sulla scia di questa precisa domanda, lo guarisce. Ecco allora la doppia azione di Gesù e sulla quale Egli fòrmula il suo quesito: perdona e guarisce. Perdona per guarire e guarisce perché il perdono sia poi segno di una vera conversione. La guarigione indica la possibilità, per il paralitico, di alzarsi e camminare per una strada nuova e diversa. Gesù lo libera da quei vincoli che lo legavano alla barella. La stessa barella diventa simbolo di una libertà riacquistata. Allora cosa è più facile? Perdonare o guarire? Gli scribi intendo bene che il perdono, al quale si riferisce Gesù, proviene solo da Dio stesso; mentre la guarigione miracolosa può essere operata in nome di Dio. Gli scribi dovrebbero conoscere la risposta. Loro stessi hanno capito che Gesù si è voluto proclamare Dio con il perdonare i peccati a quel povero paralitico immobilizzato sul lettuccio. Gli scribi hanno rovesciato il significato che Gesù ha voluto dare alla sua azione. Infatti per loro la guarigione interiore, non visibile, diventa, in vista della guarigione fisica visibile. Per Gesù è esattamente l'opposto: la guarigione fisica, anch'essa importante, è in vista della guarigione interiore e spirituale. Quello che manca agli scribi è la fede: cioè proprio ciò che unisce il perdono di Gesù e il miracolo della guarigione. Lo sguardo di Gesù, che lo spinge al perdono e alla guarigione è proprio la fede. Gesù guarda prima di tutto alla fede di quei quattro che si industriano perché il paralitico gli si possa mettere davanti; poi guarda alla fede del paralitico stesso. Gesù si preoccupa del vero bene e per questo agisce. L'insegnamento per noi può provenire sia dalla figura di quei quattro che si preoccupano della salute del paralitico e sia dal miracolo stesso di Gesù. La fede non è una faccenda privata, un qualcosa che riguarda in maniera esclusiva il nostro rapporto con Dio. Anzi. La fede è un dono che deve essere condiviso, che ci apre gli occhi verso le necessità degli altri. Può darsi che dall'intensità della nostra fede dipenda la salvezza di altri. La fede è quindi responsabilità e condivisione. La nostra sollecitudine per chi ha bisogno del nostro aiuto, è segno di fede ed alimenta anche la nostra fede. La guarigione del paralitico, poi, ci spinga ad una domanda: cosa, nella vita, veramente ci tiene legati al nostro lettuccio? La malattia fisica? Talvolta, sì... ma quante volte, invece è il nostro spirito ad essere legato e ha necessità di essere liberato... Gesù è il medico vero per le nostre malattie. A Lui possiamo e dobbiamo rivolgerci con fiducia e con fede.


Apoftegmi - Detti dei Padri

«Abba Poemen disse: "Conosco un fratello a Scete che per tre anni digiunò di due giorni in due giorni, tuttavia non riuscì a vincere. Quando però lasciò stare il digiuno per due giorni interi e cominciò a digiunare solo fino a sera, ma con discernimento, allora riuscì a vincere". Quindi mi disse abba Poemen: "Mangia senza mangiare, bevi senza bere, dormi senza dormire, agisci con te stesso con discernimento, e troverai riposo"».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'UMILTÀ

Il sesto gradino dell'umiltà si sale quando il monaco si accontenta delle cose più povere e spregevoli e in ogni incarico che gli viene affidato si considera un operaio cattivo e indegno, facendo proprie le parole del profeta: «Sono stato ridotto a nulla e sono diventato uno stolto; davanti a te stavo come una bestia: ma io sono sempre con te» (Sal 72,22-23a Volg.).

Cap.7,49-50.