Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
24 - 30 Aprile 2011
Tempo di Pasqua I, Colore bianco
Lezionario: Ciclo A, Salterio: sett. 1

Commento alle Letture

Domenica 24 aprile 2011

Risorto, risorti.

"Voi sapete ciò che è accaduto", ...e "noi siamo testimoni"; è la sintesi dell'evento centrale della storia, della nostra storia. È l'evento che diventa per sublime eccellenza "il giorno che ha fatto il Signore", per cui ci rallegriamo ed esultiamo. È la Pasqua, la nostra Pasqua. Per ognuno finalmente risorge la visione, la speranza e la ricerca delle "cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio". Ci è chiara finalmente l'ultima mèta della nostra esistenza, la nostra vera patria. È il momento in cui sentiamo l'abbraccio di Dio, che ci accoglie come figli. Si rotola la pesante pietra dal sepolcro e si riaprono per noi le porte del Cielo. Gesù, l'uomo Dio, il Verbo che si è fatto carne, ha subito la crudele passione causata dal peccato del mondo, ma oggi vivo appare a Maria di Màgdala, la peccatrice redenta e già risorta, chiamata a rappresentarci come eredi della stessa sorte. Corrono al sepolcro Pietro e Giovanni, il sepolcro è vuoto, il peccato è stato redento, la morte ha subito una definitiva sconfitta: Cristo Signore è vivo, è risorto e noi con Lui. I due discepoli delusi e con loro tutti i titubanti di oggi e di ogni epoca, tutti coloro che non camminano con la chiesa, non hanno fatto esperienza dell'amore di Dio che rigenera, che privi della lampada della fede, vanno in senso contrario per sette miglia, hanno ormai la fondata speranza che il risorto si affianchi a loro, li illumini con la luce della parola rivelata, li convinca definitivamente nel gesto mirabile dello spezzare il pane. Il gesto del Risorto che la chiesa è chiamata a celebrare e testimoniare nei secoli: la chiesa che annuncia la verità di Dio, la chiesa che celebra il Risorto sugli altari del mondo e lo testimonia ovunque con la carità operosa e fattiva che sfama e racconta la risurrezione e la vita più di ogni altro discorso. Gesù ci chiede la fede nella sua risurrezione, ma vuole che i suoi siano portatori di vita e di risurrezione per ogni uomo: il cristiano risorto è e deve essere già da questa vita un cantore dell'amore di Dio, della sua infinita misericordia, un annunciatore di una festa perenne che si celebra in cielo e in terra per ogni ritorno, per ognuno che risorge, ogni volta che un figlio di Dio viene fuori dal sepolcro del suo peccato, esce dalla miseria, dall'abbandono, si sente amato soccorso e consolato e risorge con Cristo e con la schiera dei credenti. Per questo la Pasqua si celebra ininterrottamente, non dura un giorno: è si legata al tempo, ma è già entrata da quel primo radioso mattino nell'ambito dell'eternità. È il memoriale sempre vivo, sempre vero, eternamente efficace, da vivere ora nella speranza e come già posseduto nella fede.


Nella veglia pasquale il triduo raggiunge il suo culmine sacramentale. Infatti nel nucleo più originale della Pasqua, questa veglia è come una sintesi di tutta la liturgia annuale, perché, attraverso una prolungata celebrazione della Parola e poi della Luce e dell'Acqua, ricupera tutta la ricchezza del simbolismo, che ci permette di accostarci realmente al mistero. L'introduzione della liturgia della luce (benedizione del fuoco e del cero pasquale) con il canto dell'Annuncio della resurrezione ci introduce nella nuova ed eterna alleanza ricostituita fra Dio e l'umanità in Cristo Gesù. La luce è la prima opera della creazione. Ora dal fuoco-luce si accende il cero pasquale, simbolo della luce di Cristo, luce che ha attraversato le tenebre del mondo, della storia e del peccato. La storia della salvezza viene rievocata a tappe nelle letture bibliche in chiave pasquale. La creazione diviene ora ricreazione dalla risurrezione del Signore. Il sacrificio di Abramo è figura del sacrificio di Cristo, vero agnello che toglie il peccato del mondo. L'alleanza, figura nuziale fra Dio e il popolo, è destinata ora a divenire una comunità di discepoli con il Signore. La benedizione dell'acqua del fonte, che richiama il compimento di tanti riferimenti biblici, ci prepara alla celebrazione del Battesimo, o almeno alla rinnovazione dei nostri impegni battesimali. Cristo è risalito dalle acque della morte come noi risorgeremo dal sepolcro, divenuto come il seno materno, fecondo di vita nuova. La commensalità col Risorto diventa per noi il segno sacramentale più efficace per un cammino verso il nostro compimento. Alleluia! Il Signore della vita è risorto. Come Simòn Pietro e l'altro discepolo corriamo anche noi verso quel sepolcro vuoto. Davanti ad esso è stata proclamata la grande rivelazione angelica alle donne, lì accorse per prime: "E' risorto! Non è qui!" La celebrazione eucaristica del Risorto ci invita a comprendere che l'oggetto della nostra fede non è solo "confessare con le labbra che Gesù è il Signore", ma anche a credere col cuore, che la salvezza, che proviene dal Risorto, passa attraverso questo memoriale della Pasqua del Cristo. Il Risorto ci ha donato la vita, ma ci comunica anche il potere di dare anche noi la vita ai fratelli per amore, a imitazione sua, "l'amore di Cristo ci spinge verso l'altro".

Apoftegmi - Detti dei Padri

Un guerriero dal passato piuttosto torbido chiese ad un anacoreta se pensava che Dio avrebbe mai potuto accogliere il suo pentimento. E l'eremita, esortato che l'ebbe con molti discorsi, gli domandò: «Dimmi, ti prego, se la tua camicia è lacerata, la butti via?...» «No», rispose l'altro: «la ricucio e torno ad indossarla.» «Dunque», soggiunge il monaco, «se tu hai riguardo al tuo vestito di panno, vuoi che Dio non abbia misericordia per la sua immagine?»


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUELLI CHE GIUNGONO TARDI ALL'UFFICIO DIVINO O ALLA MENSA

E nessuno ardisca prendere alcunché di cibo o di bevanda prima o dopo l'ora stabilita. Se però il superiore offre qualcosa a un fratello e questi la rifiuta, quando poi desidera ciò che prima ha rifiutato o altro, non riceva assolutamente nulla, finché non si sia sufficientemente emendato.

Cap.43,18-19.