L'incredulità di Tommaso è diventata proverbiale. Egli non crede alla testimonianza degli apostoli che, in sua assenza hanno visto il Signore risorto. Tommaso non crede agli apostoli, ma pone delle condizioni perché la sua fede nel Cristo sia piena e senza ombra di dubbio: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Cosa vuole vedere Tommaso per convincersi? Il segno dei chiodi e il costato trafitto: sono i segni indelebili non solo di una passione e di una crocifissione, ma soprattutto dell'amore infinito del Cristo che ha dato la vita. Il percorso dell'incredulo non conduce soltanto alla fede, ma all'amore; quell'amore che solo dopo otto giorni gli farà esclamare: «Mio Signore e mio Dio!». Quel «mio» reiterato» esprime insieme fede e gratitudine, adesione totale e amore grande. È importante per noi toccare come Tommaso le piaghe di Cristo; ci occorre per comprendere il valore della sofferenza di Cristo, ma anche per finalizzare a Lui le nostre sofferenze. Il Cristo risorto e glorioso ci affascina perché ci indica l'approdo a cui tutta la nostra esistenza tende, ma le sue piaghe ci servono per illuminare di luce divina il buio del dolore dell'innocente, della sofferenza inattesa e immeritata, di tutte le forme di ingiustizia e di sopraffazione. Aiuta a sublimare tutto ciò che infimo nella nostra esistenza: mettere il dito al posto dei chiodi e poi esclamare con Tommaso Mio Signore e mio Dio, significa aver capito ed abbracciato il dolore, non considerato più come inevitabile condanna, ma come via alla pienezza della vita. È il culmine della teologia, è l'essenza stessa della redenzione, è la scoperta che fa Tommaso e che noi facciamo nostra.
Disse abba Eulogio: «Non parlatemi dei monaci che non ridono mai. Non sono seri».
PROLOGO ALLA REGOLA DI SAN BENEDETTO Innanzitutto chiedi con preghiera insistente che sia lui a portare a compimento ogni opera buona che ti accingi a fare; perché egli, che si è degnato di annoverarci nel numero dei suoi figli, non debba mai rattristarsi per la nostra indegna condotta. Dobbiamo infatti obbedirgli sempre, avvalendoci dei doni che ci ha fatto, in modo che egli non debba un giorno, non soltanto come padre sdegnato privarci dell'eredità dei figli, ma neppure, come padrone tremendo, irritato dalle nostre colpe, consegnarci alla pena eterna, quali servi malvagi che non hanno voluto seguirlo alla gloria.