Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
23 - 29 Novembre 2008
Tempo Ordinario XXXIV, Colore bianco
Lezionario: Ciclo A | Anno II, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Mercoledì 26 novembre 2008

Abbiamo lasciato tutto.

Letture proprie della Solennità:
1Reg 19, 4-9.11-15; Ps. 14; Gal. 2,19-20; Mt 19,27-29

«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?» È di Pietro la domanda rivolta a Gesù. E di tutti coloro che, come lui, hanno lasciato tutto per seguire Cristo. L'apostolo, sicuramente aveva vivo nella mente il ricordo di quella prima chiamata sul lago di Tiberìade mentre insieme al suo fratello Giacomo e ai suoi soci, era tranquillamente intento a riassettare le sue reti. Gesù aveva scandito il suo invito che risuonava quasi come un ordine esplicito: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». La sua risposta era stata pronta ed immediata. È virtù di pochi lasciare tutto, ogni umana sicurezza, per seguire qualcuno che senza darti garanzia alcuna, ti chiede di diventare suo seguace. Occorre una fede grande ed una fiducia illimitata per lasciarsi andare verso l'ignoto. Lo ha fatto Pietro e dopo di lui una schiera innumerevole si è lasciata affascinare da quella voce, da quell'invito. Sono diventati i modelli di tutti coloro che preferiscono essere più da vicino i seguaci di Cristo. Il fascino di quella voce è ancora lo stesso che ha convinto Pietro, la promessa è identica, spesso resta purtroppo ancora il dubbio sul significato di diventare gli ultimi per essere poi i primi. Tutti coloro che però hanno ancora la fede e il coraggio di rispondere con sollecitudine e poi vivere in coerenza la sequela sicuramente siedono sul trono della gloria con Cristo, hanno ricevuto cento volte di più di quanto hanno lasciato e sono gli eredi del regno. Silvestro fa parte di questa schiera. Egli ne aveva davvero tante di umane sicurezze; la sua nobiltà, le sue splendide doti umane avrebbero potuto assicurargli una vita beata e probabilmente anche gloria e potere. Invece anch'egli ha lasciato tutto per farsi santo. Ecco il coraggio di chi crede, ecco chi sono i veri sapienti, ecco uno degli ultimi della terra che è tra i primi del cielo. Ecco ancora la vera fecondità dei santi: Silvestro con la sua santità si è dotato di una prodigiosa fecondità spirituale: egli è ancora vivo nei suoi figli, che sparsi nel mondo, continuano nella stessa via, nella stessa fedeltà, il suo cammino di conversione che orienta tutta la vita alla assidua ricerca di Dio.


L'uomo dell'ascolto.

È la solennità del nostro fondatore da non confondere con il Santo Papa omonimo del 31 Dicembre. La chiesa universale si limita a farne solo la memoria. Per noi è la festa grande, è la festa del «Padre» e Fondatore del nostro Ordine. La vita del nostro santo può essere ben definita e sintetizzata in un continuo e docile ascolto della Parola di Dio, delle divine ispirazioni e l'umile e fervente adesione ad esse. Possiamo dire che il primo ascolto lo ha prestato alla buona mamma Bianca, dalla quale ha appreso gli elementi essenziali della vita cristiana; fra le braccia materne ha imparato a dare il primato a Dio e mettere in second'ordine le cose del mondo. Questa convinzione riemergerà tante volte nella sua vita e sarà il motivo conduttore delle sua scelte. Inviato a Bologna per diventare un giurista si accorge che lo studio della legge «non lo accendono per le cose di Dio» - come ci dice il suo primo biografo - e allora subito la determinazione di lasciare quegli studi per passare a quello della teologia a Padova. Incorre così nelle ire del padre, che vede deluse le sue aspettative e i sogni di grandezza umana che aveva vagheggiato per il figlio. Silvestro riafferma il primato assoluto di Dio nella sua vita e resiste per diversi anni alle sollecitazioni e minacce paterne. Finalmente libero di seguire la propria vocazione, diventa canonico della cattedrale di Osimo, sua città nativa; è stimato ed apprezzato da tutti per la sua scienza e la sua santità, egli però, sempre attento alla voce di Dio, sente di dover assecondare ancora una volta la sua chiamata. Lascia tutto e tutti e si cala nella completa solitudine come eremita in una grotta negli aspri anfratti della Gola della Rossa, non distante dalle famose grotte di Frasassi. Anche l'esperienza eremitica durerà poco per Silvestro. Scoperto da alcuni cacciatori, inizia un vero e proprio pellegrinaggio verso la grotta del santo e alcuni desiderano imitarlo in quella scelta così radicale e porsi sotto la sua guida spirituale. Si ritrova così prima a dover essere padre e guida di altri e poi a dover fondare un nuovo Ordine, ispirato alla Regola di San Benedetto, ma con un certo influsso francescano, che nella vicina Umbria muoveva con il poverello di Assisi i primi passi. Attento ascoltatore quindi il nostro Santo, ma anche ben alimentato dalla grazia divina: il segreto della sua santità e del suo eroismo è raffigurato nella immagine più classica che possediamo di lui: il santo riceve la santa Eucaristia per le mani della Vergine Madre, fatto unico nella storia dei santi. Molti fedeli lo invocano, alcuni hanno sperimentato una speciale efficacia del nostro santo e delle sue intercessioni.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Il Padre Daniele disse: "Quanto più fiorisce il corpo, tanto più si estenua l'anima, e quanto più si estenua il corpo tanto più fiorisce l'anima".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

NORME PER L'ACCETTAZIONE DEI FRATELLI

Se possiede delle sostanze, o le distribuisca prima ai poveri, oppure le ceda al monastero con un atto pubblico di donazione, senza riservare per sé nulla di tutti i suoi beni, poiché sa che da quel giorno egli non potrà disporre nemmeno del proprio corpo. Subito dopo sia svestito dei propri abiti e rivestito con quelli del monastero. Tuttavia gli indumenti di cui è stato spogliato siano conservati nel guardaroba, perché se un domani, cedendo alle istigazioni del diavolo, egli dovesse - non sia mai! - uscire dal monastero, allora venga svestito degli abiti del monastero e mandato via. Però la sua carta di professione, che l'abate prese dall'altare, non gli si restituisca ma si conservi nel monastero.

Cap.58,24-29.