Il testo sacro ci invita a volgere lo sguardo verso Elia, di cui tesse l'elogio, ammirandolo e additandolo come colui di cui Dio si è servito per richiamare gli uomini ad onorare e venerare Lui, unico vero Signore. La festa liturgica di S. Romualdo, vissuto a cavallo dei secoli X e XI, a sua volta porge alla nostra riflessione gli esempi che ci ha lasciato questo grande uomo. Nasce a Ravenna nel 951, discendente dei Duchi di quella città.. In giovane età vede suo padre che compie un delitto. Si propone di espiarlo. Abbraccia la vita monastica nell'Ordine dei Benedettini. Viene eletto Abate, ma dopo tre anni, rinuncia vedendo nelle insegne abbaziali offertegli da Ottone III uno strumento di potere più che di servizio. Diventa Fondatore e Padre dei Monaci Camaldolesi unendo alla vita di lavoro e di preghiera, quella della solitudine, dell'eremo. Fonda vari monasteri, prende parte viva alle vicende della Chiesa e termina la sua vita a 76 anni, in Val di Castro - Fabriano. Le sue spoglie mortali riposano nella chiesa dei santi Biagio e Romualdo, in Fabriano. Le testimonianza dei santi, soprattutto di chi dedica la propria vita alla ricerca di Dio, offrono sempre incitamento a non lasciarci prendere la mano dalle cose effimere di questo mondo... anzi a dare spazio al Signore nella nostra vita, in qualunque condizione ci troviamo. Bene si addice allora il brano del vangelo in cui Gesù insegna ai discepoli a pregare. Il meravigliosa preghiera del Padre Nostro ci indica ciò che noi, poveri mortali, dobbiamo chiedere a Dio, per la sua gloria e quanto da Lui ci attendiamo, nella nostra povertà. Oltre il pane quotidiano, cioè tutto ciò che ci necessita per una vita serena, personalmente e socialmente, chiediamo il perdono dei nostri peccati e la capacità di perdonare. S. Benedetto è molto attento circa il fatto del perdono reciproco, necessario sempre, ma in particolare quando si vive insieme, l'uno vicino l'altro: famiglia, comunità, gruppi, ambiente di lavoro... Il santo Legislatore vuole che, sia alle lodi del mattino che alla preghiera del vespro, l'Abate reciti ad alta voce il Padre Nostro perché i fratelli si sentano spronati e impegnati al reciproco perdono ascoltando quelle parole: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.(R.B. 13,13). Se recitassimo bene, adagio la preghiera del Padre Nostro, pensando a quello che diciamo, forse tante incoerenze nella nostra vita privata e comunitaria sarebbero evitate. Santa Teresa del Bambino Gesù, nei suoi giorni oscuri, si confortava e consolava nel recitare adagio, assaporando ogni parola di questa insuperabile preghiera.
Si lamentò il monaco Giovanni al padre spirituale: quando eravamo a Scete la nostra principale occupazione era quella dell'anima, mentre il lavoro manuale era un'occupazione secondaria. Ma ora il lavoro dell'anima e divenuto secondario e il lavoro secondario è divenuto il principale che oscura Dio.
IL PRIORE DEL MONASTERO Se il priore si mostra vizioso o, dominato dalla vanagloria, monta in superbia o disprezza apertamente la santa Regola, sia ammonito a parole fino alla quarta volta; se non si corregge, sia sottoposto alla punizione della disciplina regolare. Se neppure così si sarà corretto, allora sia tolto dall'ufficio di priore e al suo posto si metta un altro che ne sia degno. E se in seguito non starà quieto e obbediente in comunità, sia anche cacciato dal monastero. Però l'abate ricordi che di tutti i suoi giudizi dovrà rendere conto a Dio: non succeda che il fuoco dell'invidia o della gelosia gli bruci l'anima.