Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
06 - 12 Aprile 2008
Tempo di Pasqua III, Colore bianco
Lezionario: Ciclo A, Salterio: sett. 3

Commento alle Letture

Giovedì 10 aprile 2008

Io sono il pane vivo disceso dal cielo.

Oggi la questione che occupa ancora il discorso di Gesù è quella della fede e della incredulità a proposito della sua persona. Siamo ormai abituati allo stile di Giovanni di ritornare su temi già trattati, sempre approfondendoli. Si entra nella fede, che è un "venire a me" dice Gesù, per una attrazione interiore, esercitata dal Padre in concomitanza con l'ascolto interiore di una parola che pure viene da lui. Non si tratta di un rapporto immediato con Dio, come anche Gesù subito precisa, ma a tale realtà ci si arriva un po' alla volta, ispirandosi alla Sacra Scrittura. Quando avremo capito che in Gesù, Dio medesimo ci parla, e ci saremo fatti alunni attenti e docili "tutti saremo ammaestrati da Dio". Colui che viene da Dio ed ha visto il Padre è in grado di dirne le parole, non più riservate a un popolo particolare, ma rivolte a tutti gli uomini. Il dono della vita ora è legato, non solo al fatto di venire a Gesù e credere in lui, ma al mangiare del pane. Ed è così, perché lui solo realizza pienamente l'idea, e la realtà implicita in essa, del pane di Dio che è disceso dal cielo. Lui solo – non la manna di Mosè – è il pane vivo che è disceso dal cielo e ha la virtù di comunicare la vita eterna. Splendida promessa fatta apposta per risvegliare il cuore degli ascoltatori, perché la risurrezione, ossia la vittoria definitiva sulla morte, è il desiderio radicale che l'uomo porta nel suo intimo e che non riesce mai a soddisfare. Questo pane invece è sceso dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. In questo modo il Signore rivela che l'uomo ha un solo destino, immergersi nel Dio che lo ha creato e che lo attende dopo l'esodo dalla vita terrena.


Apoftegmi - Detti dei Padri

Pazienza

L'abba Pastor diceva: «Quali che siano le tue pene, la vittoria su di esse sta nel silenzio».

Un giorno che i fratelli si erano riuniti a Scete, alcuni anziani vollero mettere alla prova l'abba Mosè: si fecero sprezzanti e gli dissero: «Perché questa specie di etiope viene tra noi?». L'abate tacque udendo queste parole. Di ritorno dall'assemblea, quelli che lo avevano ingiuriosamente trattato gli dissero: «Non sei turbato?». Egli rispose: «Sono turbato, ma non dico niente».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I VECCHI E I FANCIULLI

Sebbene la natura umana sia per se stessa portata a compassione verso queste due età, cioè dei vecchi e dei fanciulli, tuttavia è bene che intervenga in loro favore anche l'autorità della Regola. Si tenga sempre conto della loro debolezza e non si applichi affatto ad essi il rigore della Regola riguardo al vitto; si abbia piuttosto verso di loro un'amorevole condiscendenza e anticipino pure le ore regolari dei pasti.

Cap.37,1-3.