Il Vangelo ci intrattiene nel clima festoso della Pasqua. Maria di Magdala stava presso il sepolcro e piangeva. Mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e vide all'interno, dove era stato posto il corpo di Gesù, due angeli in bianche vesti. Ed essi le dissero: "Donna, perché piangi?". Rispose loro: "Hanno portato via il mio Signore". La risposta non c'è, ma lei vede dietro a sé un altro uomo, a cui fa la stessa domanda. Ma l'incontro fra i due ancora non avviene. Lei cerca appassionatamente il cadavere del suo amato Maestro, lui cerca una persona, Maria. Agostino avrebbe detto: "Signore, io ti cerco, perché, tu, mi cerchi!" Ma non appena Gesù la chiama per nome, Maria lo riconosce: cade come un velo dai suoi occhi, il cuore intuisce e lo chiama con tutto il trasporto della sua anima: Maestro! Nella sua qualità di buon pastore, Gesù conosce le sue pecore, una ad una nel profondo del loro essere e le chiama per nome, perché gli appartengono, e le vuole incontrare così come sono. Prima che fosse chiamata per nome Maria lo vedeva come si vede un giardiniere, appena si è sentita chiamare, lo ha visto come Signore della sua vita. Dal primo al secondo momento Gesù non era cambiato, si era illuminata la sua fede per la parola rivoltale, per cui vide. La risurrezione da un fatto fisico ora, per lei, era diventata un avvenimento dell'anima. Si pensa molto al primo miracolo, poco al secondo, cioè all'evento di fede, che è invece quello che direttamente ci riguarda, e ci tocca spesso. "Va' dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". E' il primo annuncio pasquale che Maria deve portare ai fratelli. E nell'annuncio vi è anche espressa la nuova condizione dei credenti: il Padre di Gesù diventa Padre loro, il Dio che ha strappato Gesù dal regno dei morti diventa il Dio della loro salvezza.
Un anziano diceva: «Sopporta obbrobrio e afflizione per il nome di Gesù con umiltà e cuore contrito. E mostra davanti a lui la tua debolezza ed egli diverrà la tua forza».
COME L'ABATE DEVE ESSERE PREMUROSO VERSO GLI SCOMUNICATI L'abate abbia cura con la massima sollecitudine dei fratelli che hanno mancato, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9,12). E perciò deve, come un medico esperto, usare tutti i rimedi: mandargli in segreto delle «sempecte», cioè dei saggi monaci anziani, i quali quasi di nascosto facciano coraggio al fratello in preda all'agitazione e lo inducano alla soddisfazione e lo confortino perché egli non soccomba sotto un'eccessiva tristezza (2 Cor 2,7), ma, come dice ancora l'apostolo, si dia prova a suo riguardo di maggiore carità (2 Cor 2,8) e tutti preghino per lui.