La nostra disordinata natura è incline a giudicare gli altri, e il nostro giudizio spesso va oltre ad una semplice constatazione. E' una vera condanna. Ci si arroga un diritto che non ci compete; appartiene solo a Dio. Il Padre stesso lascia questo potere al Figlio. Ma chi di noi non ha sentito dalle stesse labbra di Gesù: "Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo? Se accogliamo e ascoltiamo Gesù, saremo i primi ad entrare in quella salvezza che lui è venuto a donarci. "Non giudicate, per non essere giudicati". E, come chiarimento, "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?" Gesù coglie nel vivo una difformità profonda che l'uomo si porta dentro e che tende a rendere alquanto difficili i rapporti umano. Gesù non dice affatto di eliminare ogni tipo di correzione fraterna, è lui stesso, che in un'altra occasione, ci consiglia di correggerci a vicenda. "Non ci proibisce di giudicare, ma ci insegna come farlo", Girolamo. Innanzitutto ci comanda: "Togli prima, la trave dal tuo occhio". Disponi cioè il tuo occhio alla benevolenza, al vero bene dell'altro. Saremo capaci così di non caricarci di un sentimento di estraneità, poiché su gli altri giochiamo il nostro futuro destino. Comunque permane sempre come sottofondo la paternità di Dio, che attende il ritorno del figliol prodigo. Intanto nella sua "eterna misericordia", ci prepara al suo incontro, quotidiano e a quello definitivo, suggerendoci questo saggio comportamento: "Con la misura con la quale misurate, sarete misurati".
Disse: "Come si dissipa un tesoro scoperto, così qualsiasi virtù, quando è resa notoria e manifesta, svanisce.
NESSUNO ARDISCA ARBITRARIAMENTE PERCUOTERE O SCOMUNICARE UN ALTRO Si eviti nel monastero ogni occasione di presunzione. Perciò ordiniamo e stabiliamo che nessuno può scomunicare qualcuno dei fratelli o percuoterlo, se non ha ricevuto l'autorizzazione dall'abate. I colpevoli siano ripresi alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore (1 Tm 5,20). Quanto ai fanciulli fino all'età di quindici anni, sia cura e impegno di tutti il tenerli sotto disciplina; ma anche qui con grande moderazione e buon senso. Se qualcuno, senza ordine dell'abate, ardisce arrogarsi in qualche modo questo potere contro i fratelli già adulti, oppure infierisce senza discrezione sui fanciulli, sia sottoposto alla disciplina regolare, poiché sta scritto: «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te» (cf. Tb 4,16; Mt 7,12).