Il comprendere di cui parla la parabola evangelica ha certamente un senso più ampio di quello che gli potremmo attribuire. Un monaco certosino del XII secolo, Guigo, nella sua opera "Scala claustralium", indica quattro movimenti per la "comprensione" della parola: lectio, meditatio, oratio e contemplatio. La lettura attenta (o anche solo l'ascolto) è già disposizione di un animo teso alla ricerca, l'approfondimento tramite la meditazione fa penetrare progressivamente nel mistero di Dio, la preghiera lo fa vivere attraverso varie forme (lode, supplica, etc.), la contemplazione vi unisce tutto il nostro essere. Questi "gradi" tipicamente monastici possono essere applicati e sperimentati da tutti, alcuni giorni però questa parola sembrerà portare una percentuale molto bassa, ed in altri momenti, al contrario, saremo "al settimo cielo". Niente paura! Noi stessi siamo di volta in volta quei personaggi citati nella parabola e la nostra gamma va dalla strada al terreno fertile. Gesù non vuole certo condannare o portare alla disperazione nessuno, non definisce cioè delle tipologie standardizzate per cui chiunque è salvo o condannato in partenza. Vuole soltanto dire che abbiamo poca costanza (sarebbe meglio dire poca fedeltà) e che non sempre siamo capaci di far fruttificare il dono ricevuto. La medesima cosa accade con gli israeliti: ricevono la parola, ma quante infedeltà accompagneranno il loro cammino e però anche quanti ritorni pieni di speranza e di buoni propositi. È la storia di sempre, è la storia di un Dio fedele e di un uomo sottoposto alla contingenza, ma questo Dio lo sa molto meglio di tanti giudizi impietosi su noi stessi e sugli altri.
"Un fratello chiese ad un anziano: 'Come trovare il Nome del mio Signore Gesù Cristo?'. L'anziano gli disse: 'Se tu non ami prima la fatica, non puoi trovarlo'".
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE Sappia l'abate che si è assunto l'incarico di guidare le anime e perciò deve prepararsi a renderne conto; e di quanti fratelli egli sa affidati alle sue cure, sia ben certo che nel giorno del giudizio dovrà appunto rendere conto a Dio di tutte e singole queste anime, compresa naturalmente la sua. E così, nel continuo timore dell'esame che, quale pastore, subirà circa le anime a lui affidate, mentre si dà pensiero per il rendiconto altrui, si fa sollecito per il proprio; e mentre con i suoi ammonimenti bada alla correzione degli altri, egli stesso viene emendandosi dei propri difetti.