"Qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?". Così leggiamo nel Deuteronomio e siamo ancora nel vecchio testamento, quando tutto scaturiva da una alleanza tra Dio e il suo popolo e come frutto della preghiera. Il Signore Gesù già con la sua incarnazione stabilisce una alleanza nuova, alleanza che diventerà comunione totale di vita con il dono del suo corpo e del suo sangue. È una comunione di amore, infinito da parte di Cristo, intenso, speriamo il nostro. È una simbiosi, cioè Vita nella vita, quella divina che prende possesso della nostra persona. È quindi una elevazione ad una nuova dignità; siamo riassunti da Dio nell'ambito del suo amore di Padre come figli. Questa è la motivazione fondamentale che dovrebbe smuovere il nostro amore come espressione di infinita gratitudine per l'insperato recupero. L'effusione dello Spirito giunge a completamento dell'opera salvifica di Cristo. Diventiamo anche noi capaci di amare nella stessa dimensione di quello Spirito. È allora che la comunione diventa piena, stabile, intensa. È lo stesso Signore a darci questa esaltante certezza: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». S. Paolo così interrogava i primi cristiani: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?". È un interrogativo che conserva tutta la sua urgenza anche per noi, cristiani di oggi. Forse abbiamo ridotto le nostre comunioni a rari momenti della nostra vita, ad episodi liturgici senza giungere alla consapevolezza degli effetti che dovrebbero coinvolgere tutta la nostra vita. Pare che abbiamo, più o meno consapevolmente, creato una frattura tra il Dio della chiesa e quello della vita. Forse le nostre comunioni iniziano e finiscono tra i banchi di chiesa lasciandoci poi vuoti quando ritorniamo nelle strade del mondo. Quel Cristo che scende per noi sui nostri altari per diventare cibo e bevanda di salvezza, viene poi rilegato di nuovo in cielo se la nostra comunione non lo coinvolge nella realtà del vivere quotidiano. Viene da chiedersi in quanti cuori inibita realmente la divinità e quanti di noi sono realmente tempio dello Spirito.
L'Abba Pastor disse: Allontanati da ogni uomo che quando discorre polemizza continuamente.
SE IL MONACO PUÒ RICEVERE LETTERE O ALTRE COSE Non sia assolutamente permesso al monaco ricevere, senza il consenso dell'abate, lettere, pii regali o qualunque altro benché piccolo oggetto, sia da parte dei parenti che di qualsiasi altra persona, né di mandarli loro e neppure di scambiarseli tra i fratelli. E anche se dai suoi parenti gli viene inviata qualche cosa, non ardisca accettarla senza averne prima avvisato l'abate. Se l'abate poi darà il permesso di accettarla, abbia piena facoltà di destinarla a chi vuole; e non si rattristi di ciò il fratello a cui la cosa era stata inviata, per non dare occasione al diavolo. Chi oserà agire diversamente, sia sottoposto alla disciplina regolare.