Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire, Bassano Romano (VT)  
04 - 10 Aprile 2004
Settimana Santa , Colore rosso
Lezionario: Ciclo C, Salterio: sett. 2

Commento alle Letture

Giovedì 08 aprile 2004

Eucaristia e sacerdozio.

L'Ultima CenaÈ un giorno solenne e santo quello che celebriamo oggi. Diventiamo i commensali di Dio, ci viene dato come bevanda e come cibo il suo sangue e la sua carne. È il sangue e la carne dell'uomo Dio, prima martirizzato nella crudeltà di una orribile passione, poi racchiusa in un calice e in piccole ostie per assumerli come germe di vita nuova. Così siamo rigenerati nel corpo e nello spirito, diventiamo nuove creature, riscopriamo la nostra fratellanza, diventiamo uno in Cristo, diventiamo templi sacri, in cui inibita la divinità. Non più schiavi ma liberi, con una somiglianza soprannaturale con il nostro creatore e signore. La sfida che satana lanciò sin dal principio ai nostri progenitori "sarete come Dio", ora trova il suo vero compimento. Accadde in un ultima cena, mentre si celebrava la nuova Pasqua. Gesù è prostrato come uno schiavo dinanzi ai suoi, vuole loro lavare i piedi. Vuole dare loro una lezione di umiltà, vuole dire loro che l'amore vero esige l'immolazione volontaria per gli altri, vuole spegnere ogni benché minima ombra di potere, vuole dire agli apostoli e ai futuri ministri dell'Eucaristia che per ripetere validamente quell'eterno sacrificio, devono mettere a disposizione di tutti la propria vita, diventare vittime con la Vittima. Solo così quel sacrificio potrà diventare un memoriale, potrà ripetersi nei secoli sugli altari del mondo per sfamare gli affamati di ogni tempo e dissetare le brame dei viventi. "Fate questo in memoria di me" non significa soltanto ricevere una dignità e un mandato, significa soprattutto assimilarsi a Cristo, assumerne le sembianze, ripeterne i suoi gesti e le sue parole, offrirsi ogni giorno come vittima, essere il cibo di tutti, lasciarsi dilaniare nella carne e nello spirito, essere sacerdoti del Dio altissimo, capaci di generare Cristo con un limpido amore alla Madre sua e nostra. Così eucaristia e sacerdozio si fondono nel mistero, si realizzano e si perpetuano nella storia. Così il Vivente entra nel mondo, si dona, si lascia divorare, s'immola, guarisce, risana, redime e salva. Oggi è le festa dei sacerdoti, oggi più che mai contempliamo l'amore di Dio, la grande missione che ci ha affidato, la potenza che egli ha voluto conferire alle nostre parole, ma ci troviamo anche prostrati nella consapevolezza dei limiti e delle debolezze, che ci accompagnano anche quando saliamo tremanti sui pulpiti e sugli altari. È lì che guardandoci allo specchio ci convinciamo che i primi affamati siamo noi, è lì che verrebbe la voglia di scendere e di smettere le nostre messe, ma è ancora lì che troviamo i motivi veri di una interiore e totale purificazione: ci purifica lo sguardo misericordioso di Dio e quello altrettanto benevolo dei fratelli; così ci troviamo accomunati a sperimentare il nostro sacerdozio: "il mio e vostro sacrificio".


Apoftegmi - Detti dei Padri

Se fai il tuo lavoro manuale nella cella e viene l'ora della preghiera, non dire: «Finirò i miei ramoscelli e il piccolo cesto e dopo mi alzerò», ma alzati subito e rendi a Dio il debito della preghiera; diversamente prenderai a poco a poco l'abitudine di trascurare la tua preghiera e il tuo Uffizio e la tua anima diventerà deserta di ogni opera spirituale e corporale. Poiché è dall'alba che si mostra la tua volontà.


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I FRATELLI INFERMI

La cura degli infermi è da mettere prima di tutto e al di sopra di tutto, in modo che ad essi si serva davvero come a Cristo in persona, perché egli ha detto: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36); e ancora: «Quel che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Gli infermi, da parte loro, devono essere consapevoli che sono serviti in onore di Dio e non affliggere con eccessive pretese i fratelli che li assistono; tuttavia essi devono essere in ogni caso sopportati con pazienza, perché attraverso di loro si acquista una maggiore ricompensa. L'abate pertanto abbia la massima premura che i malati non siano trascurati in nessun modo.

Cap.36,1-6.