Ci penetrano nel profondo dell'anima le urla dei due ciechi del vangelo: il buio degli occhi e, ancor più quello dell'anima, creano lo strazio interiore, quello che induce appunto ad urlare, a chiedere pietà. Gesù aveva già dichiarato che lo scopo della sua venuta, come aveva profetato Isaia, è quello di ridare la vista ai ciechi. Aveva detto di essere la luce del mondo e aveva dato la garanzia a coloro che lo seguono con docilità ed umiltà di non restare mai al buio. Fa sì che i due si accostino a lui, è il primo passo da fare per riaprirsi alla luce, è cerca di far scaturire dal buio dei loro occhi il chiarore della fede e li interroga: «Credete voi che io possa fare questo?» Il loro "si" fiducioso fa sgorgare dal Cristo il dono della vista e in loro la pienezza della fede: "«Sia fatto a voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi." Coloro che sono gratuitamente beneficiati dal Cristo, coloro che hanno il dono della fede non possono e non debbono tacere. Così hanno fatto i due illuminati da Cristo, così affermavano i primi apostoli, così anche «noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». Per chi crede è necessario, urgente rendere testimonianza di quanto ha ricevuto. Tutti noi siamo stati illuminati da Cristo sin dal giorno del nostro battesimo. È nostro dovere far ardere quella lampada alimentandola con le opere buone e con l'olio dei sacramenti.
Abba Evagrio disse: "È grande cosa pregare senza distrarsi, più grande ancora salmodiare senza distrarsi".
I SACERDOTI DEL MONASTERO Se avesse la presunzione di comportarsi diversamente, venga ritenuto non sacerdote ma ribelle; e se, ripreso più volte, non si sarà corretto, si faccia intervenire come testimone anche il vescovo. Se poi neppure così si emenderà e anzi le sue colpe si faranno sempre più manifeste, sia cacciato dal monastero; solo nel caso però che sia tanto ostinato da rifiutare di sottomettersi e di obbedire alla Regola.