La liturgia di questa festa c'invita a celebrare contemporaneamente la fede di Pietro, la sua confessione della divinità di Cristo, il mandato che lo stesso Signore gli ha affidato di essere il nocchiero della nave della chiesa e la continuità di quel mandato nella persona dei suoi successori. È quindi una festa che coinvolge veramente tutta la chiesa, il capo che è Cristo, colui che lo rappresenta in terra, il romano pontefice, e tutte le sue membra. Le chiavi del regno, affidate a Pietro, ora sono diventate sacramento universale di salvezza mediante la chiesa, per tutto il genere umano. Cristo è il capo, la fede e la testimonianza del primo degli apostoli, la sua triplice dichiarazione d'amore, gli offrono l'occasione di dichiarare un'esplicita volontà divina per quella scelta, per quella missione e per quella responsabilità. «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Così l'umile pescatore di Galilea diventava, per volontà divina, il principe degli apostoli. Così, annesso al mandato, era dichiarata un'inviolabilità della chiesa, fondata sulla roccia, che è Cristo e su Pietro, confermato nella fede. Ci ha voluto dare anche una garanzia di vittoria "sulle porte degli inferi", sul male e sui nemici della chiesa. Non prevarranno. Da quella cattedra, segno episcopale, dove siede il vicario di Cristo, attendiamo la verità della dottrina e una guida sicura. Ringraziamo oggi, in modo particolare, l'attuale Pontefice per tutta la luce che ha sparso nel modo, per l'intrepida sua fede e l'indomito coraggio che lo contraddistingue.
Camminare nel fuoco della preghiera. «Il padre Lot si recò dal padre Giuseppe a dirgli: "Padre, io faccio come posso la mia piccola liturgia, il mio piccolo digiuno, la preghiera, la meditazione, vivo nel raccoglimento, cerco di essere puro nei pensieri. Che cosa devo fare ancora?". Il vecchio, alzatosi, aprì le braccia verso il cielo e le sue dita divennero come dieci fiaccole. "Se vuoi - gli disse - diventa tutto di fuoco"».
L'UMILTÀ Il decimo gradino dell'umiltà si sale quando non si è facili e pronti al riso, perché sta scritto: «Lo stolto alza la voce mentre ride» (Sir 21,23). L'undicesimo gradino dell'umiltà si sale se il monaco, quando parla, lo fa pacatamente e senza ridere, con umiltà e gravità, usando poche e sensate parole e senza alzare la voce, come sta scritto: «Il saggio si riconosce per la sobrietà nel parlare».