preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Siamo fatti per essere beati. Gesù ci ha augurato che la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena. E questo non soltanto come un approdo finale, ma anche nel tempo che ci separa dell’eternità. Però ci parla a chiare note, apertamente che la sua esperienza ci coinvolge non soltanto come beneficiari della sua passione, ma anche come partecipi della sua stessa esperienza. «Se qualcuno - ci dice - vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». La sequela è la via ardua, ma sicura per raggiungere la meta, per risorgere con Cristo. La motivazione che deve convincerci di questo Gesù la sintetizza in queste sacrosante parole: «Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà». L’alternativa è ben definita o salvare la propria vita sulla scia del risorto, o ahimè, perdere in modo definitivo e irreparabile il dono più prezioso che abbiamo ricevuto. Ed ecco uno stringente sillogismo: «Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?» Il confronto che ci dovrebbe convincere è tra il tempo e l’eternità, tra le cose del mondo e i beni del Cielo e infine, la gioia eterna o la dannazione, l’irreparabile disfatta anch’essa eterna. Nulla possiamo dare in cambio della nostra anima; è un valore inestimabile, riusciamo a convincerci se pensiamo a quanto ha fatto per tutti e per ognuno di noi il buon Dio per riscattarla! I santi non hanno soltanto abbracciato la croce, ma l’hanno amata. I martiri l’hanno fatta diventare vessillo di vittoria. Innumerevoli nostri fratelli l’hanno vissuto e la stanno vivendo nel silenzio e nell’amore. Con il cuore cantiamo: La croce gloriosa del Signore risorto è l’albero della mia salvezza di esso mi nutro, di esso mi diletto, nelle sue radici cresco, nei suoi rami mi distendo. La sua rugiada mi rallegra, la sua brezza mi feconda, alla sua ombra ho posto la mia tenda.
La preghiera entra nelle pieghe più nascoste della vita e la trasforma e la vita, nella sua dimensione storica, diventa il luogo dove la preghiera prenda la sua forma e la sua verità.
L'UMILTÀ L'ottavo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco non fa nulla al di fuori di ciò che è indicato dalla regola comune del monastero o dall'esempio degli anziani.
Il nono gradino dell'umiltà si sale quando il monaco frena la sua lingua e, coltivando l'amore al silenzio, non parla finché non sia interrogato, perché la Scrittura insegna che nel molto parlare non si eviterà il peccato (Pr 10,19), e che l'uomo dalle molte chiacchiere camminerà senza direzione sulla terra (Sal 139,12 Volg.).
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