preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Molti cristiani, che non hanno un concetto esatto delle finalità della preghiera, finiscono per credere che troppo spesso il nostro Dio è sordo o, come afferma un salmista, «muto e inerte». Alcuni pensatori oggi sono arrivati a proclamare il silenzio e l'assenza di Dio dalle vicende del mondo. Quando poi la nostra storia assume connotati di più intensa tragicità, di particolare violenza e di conclamate ingiustizie, il grido verso Dio giunge fino a diventare orrenda bestemmia: lo si accusa di essere Lui il responsabile delle umane atrocità e ciò perché non ci sarebbero da parte sua quelle risposte, che a noi sembrerebbero così logiche e soprattutto così urgenti. Ancora una volta il processo a cui vorremmo sottoporre il buon Dio è guidato da considerazioni e razionalità solo umane e non dalla luce della fede. È allarmante che tutto ciò accada anche nell'ambito della preghiera cristiana. Il Signore ascolta, con amore di Padre, le nostre suppliche, interviene nella nostra storia personale e sociale, ma essenzialmente egli si erge a difensore della nostra libertà ed esige giustamente che la nostra preghiera miri prima di tutto a compiere in noi e nel mondo la sua santissima volontà. Richiede la perseveranza nella preghiera perché questa ci mette in sintonia con Lui e ci rende capaci di vedere, alla luce della fede e del mistero della croce, le «verità» su ciò che ci accade e sui misteriosi, ma reali interventi che egli opera, anche e soprattutto, nel trarre il bene migliore anche dalle vicende più assurde e atroci della nostra storia, di cui noi siamo gli unici responsabili.
Un anziano ha detto: «Bisogna fuggire tutti gli artefici d'iniquità senza eccezione, siano amici o parenti, posseggano dignità di sacerdoti o di principi; perché evitare la loro compagnia ci procurerà l'intimità e l'amicizia di Dio».
IL LETTORE DI SETTIMANA Si osservi a tavola un perfetto silenzio, in modo che non si oda alcun bisbiglio o altra voce all'infuori di quella del lettore. Quanto occorre per mangiare e bere, i fratelli se lo porgano a vicenda, senza che alcuno abbia bisogno di chiedere alcunché. Tuttavia, se proprio occorre qualcosa, lo si chieda col suono di un oggetto qualunque piuttosto che con la voce. E non ardisca nessuno chiedere spiegazioni su quanto si legge o su altro argomento, per non dare occasione di parlare; a meno che il superiore non voglia dire lui due parole di edificazione. Il fratello lettore di settimana, prima di incominciare a leggere, prenda un po' di vino e per rispetto alla santa comunione e perché non gli riesca troppo gravoso mantenere il digiuno; 11dopo, mangi con i settimanari di cucina e i servitori. I fratelli poi non devono leggere tutti per ordine di anzianità, ma soltanto quelli che possono farlo in modo da edificare chi ascolta.
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