Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Domenica 02 aprile 2006

Vogliamo vedere Gesù.

L'evangelista nota che tra l'immensa folla che era convenuta per la festa, vi erano alcuni greci che volevano vedere Gesù. La loro comparsa non è un dato di cronaca. Sta a indicare che l'opera di Gesù ormai si aprirà a tutti gli uomini. Ecco la prova. Gesù rispose: "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo". Gesù non risponde ai greci, eppure glieli avevano presentati, ma ai discepoli, che dovranno continuare la sua missione. Nella sua risposta mostra "dove" - sia loro che gli altri - possono vedere il Signore: sulla croce."Voi che un tempo eravate lontani, ora siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo. Egli è la nostra pace, avendo distrutto l'inimicizia che era fra noi". La necessità di questa sua morte la raffigura nella seguente immagine. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore porta molto frutto". Se il Figlio unico non comunicasse la propria vita ai fratelli, rimarrebbe solo. In questo caso non sarebbe più Figlio di Dio, perché non vivrebbe nell'amore che il Padre ha verso tutti i suoi figli. L'egoismo è sterile, è morte. Il seme che non muore, non si riproduce. Una vita che non si dona è morta. La glorificazione del Figlio sulla croce è la stessa immagine del seme che muore. Gesù dando la vita, si rivela uguale al Padre, principio di vita per tutti. I greci che vogliono vedere Gesù, sono la primizia di questa fecondità. Siamo stati generati, per generare nello Spirito. Siamo coinvolti in un medesimo destino di morte e di gloria: "Chi ama la sua vita, la perde. Chi odia la sua vita, la dona. Chi mi serve, mi segue. Dove sono io, là sarà anche il mio servo." Conferma e risposta per essere solidali con Cristo. E Gesù, giunto ormai alla sua "ora", esclama: "l'anima mia è turbata... ma per questo sono giunto a quest'ora". Si sente, rassicurante, la voce del Padre, non per lui, ma per noi, affinché lo riconosciamo Figlio. Come sempre, il Vangelo, anche quando ci racconta la storia di un chicco, ci parla della nostra vita, raggiunta dall'amore. A loro volta quei chicchi cadranno in terra, ma non morranno inutilmente.


Frammento dell'omelia del card. Ratzinger ai funerali del Servo di Dio Giovanni Paolo II

Venerdì, 8 aprile 2005

Seguimi! Nell'ottobre 1978 il Cardinale Wojtyła ode di nuovo la voce del Signore. Si rinnova il dialogo con Pietro riportato nel Vangelo di questa celebrazione: "Simone di Giovanni, mi ami? Pasci le mie pecorelle!" Alla domanda del Signore: Karol mi ami?, l'Arcivescovo di Cracovia rispose dal profondo del suo cuore: "Signore, tu sai tutto: Tu sai che ti amo". L'amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: Essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale. Non è qui il momento di parlare dei singoli contenuti di questo Pontificato così ricco. Vorrei solo leggere due passi della liturgia di oggi, nei quali appaiono elementi centrali del suo annuncio. Nella prima lettura dice San Pietro - e dice il Papa con San Pietro - a noi: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d'Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è Signore di tutti" (Atti 10, 34-36). E, nella seconda lettura, San Paolo - e con San Paolo il nostro Papa defunto – ci esorta ad alta voce: "Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi" (Fil 4, 1).

Seguimi! Insieme al mandato di pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio. Con questa parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull'amore e sul mandato di pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell'ultima cena. Qui Gesù aveva detto: "Dove vado io voi non potete venire". Disse Pietro: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi" (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione – entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire. Adesso – dopo la risurrezione – è venuto questo momento, questo "più tardi". Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole, "... quando eri più giovane... andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Gv 21, 18). Nel primo periodo del suo pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole: "Un altro ti cingerà...". E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell'amore che va fino alla fine (cf Gv 13, 1).

Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo libro: Il limite imposto al male "è in definitiva la divina misericordia" ("Memoria e identità", pag. 70). E riflettendo sull'attentato dice: "Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l'ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell'amore...E' la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell'amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene" (pag. 199). Animato da questa visione, il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo.

Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l'ha accolta nell'intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19, 27) – Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo.

* * * * *

Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un'ultima volta ha dato la benedizione "Urbi et orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Foto di un anno fa

Apoftegmi - Detti dei Padri

L'abate Agatone dava sovente questo consiglio al suo discepolo: Non appropriarti mai di un oggetto che non vorresti cedere immediatamente a chiunque.


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

GLI ATTREZZI E GLI ALTRI OGGETTI DEL MONASTERO

Per tutto quanto il monastero possiede in attrezzi o vestiario o altri oggetti di vario genere, l'abate scelga dei fratelli su cui possa fare affidamento per la loro vita e i loro costumi e a suo giudizio consegni a ciascuno le singole cose perché le tengano in ordine e le raccolgano. E di tutto l'abate tenga un inventario, perché quando i fratelli si avvicendano nell'incarico, sappia quello che dà e quello che riceve. Se poi uno tratta con poca pulizia o con negligenza gli oggetti del monastero, sia ripreso; e, se non si corregge, sia sottoposto alla disciplina regolare.


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