preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Quando al nome del Santo troviamo l'attributo "Magno", siamo sempre indotti a pensare che si tratti di un grande; Sant'Alberto sicuramente lo è e per diverse ragioni: era nato nella Svevia verso il 1206 da una famiglia della piccola nobiltà. Studiò a Padova dove conobbe l'Ordine dei Frati Predicatori (i Domenicani), aderì a quella famiglia religiosa e perfezionò i suoi studi. Divenne così un uomo veramente enciclopedico. Eletto Vescovo nel 1260, predicava, insegnava, governava la sua diocesi; si occupava di tutto e di tutti e, pur in mazzo a tante occupazione e preoccupazioni, trovava il tempo di farsi Santo. Salì sulle cattedre delle più celebri università della Germania e successivamente in quella celeberrima di Parigi. Gli studenti raggiungevano in anticipo la sede universitaria per ascoltare le sue dotte e brillanti lezioni. I suoi superiori lo inviarono poi, in veste di fondatore, a Colonia per iniziare in quella città una nuova sede universitaria. Ivi incontrò uno studente del tutto speciale e dello stesso suo ordine, si strattava di Tommaso d'Aquino, il quale continuerà l'opera del maestro con eguale zelo e ricchissima cultura. E' propio vero che i santi generano i Santi!
Sant'Alberto, detto Magno, vescovo e dottore della Chiesa, che, entrato nell'Ordine dei Predicatori, insegnò a Parigi con la parola e con gli scritti filosofia e teologia. Maestro di san Tommaso d'Aquino, riuscì ad unire in mirabile sintesi la sapienza dei santi con il sapere umano e la scienza della natura. Ricevette suo malgrado la sede di Ratisbona, dove si adoperò assiduamente per rafforzare la pace tra i popoli, ma dopo un anno preferì la povertà dell'Ordine a ogni onore e a Colonia in Germania si addormentò piamente nel Signore.
Dal «Commento sul vangelo di Luca» di sant'Alberto Magno, vescovo
Pastore e maestro per l'edificazione del corpo di Cristo
«Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19). Qui sono da sottolineare due cose. La prima é il comando di usare di questo sacramento, quando dice: «Fate questo». La seconda poi é che esso sia il memoriale del Signore che va alla morte per noi. Dice dunque: «Fate questo». Non si poteva infatti comandare nulla di più, nulla di più dolce, nulla di più salutare, nulla di più amabile, nulla di più somigliante alla vita eterna. Cerchiamo di considerare una per una tutte queste qualità. Anzitutto l'Eucaristia é utile per la remissione dei peccati per chi é spiritualmente morto, utilissima poi all'aumento della grazia per chi é spiritualmente vivo. Il salvatore delle nostre anime ci istruisce su ciò che é utile per ricevere la sua santificazione.
Ora la sua santificazione consiste nel suo sacrificio, in quanto nell'oblazione sacramentale si offre per noi al Padre, e si offre a noi in comunione. «Per loro io consacro me stesso» (Gv 17, 19). Cristo, che per mezzo dello Spirito Santo offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente (cfr. Eb 9, 14). Niente noi possiamo fare di più dolce. Che cosa infatti vi potrebbe essere di più delizioso del sacramento che contiene tutte le delizie divine? «Dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica, pieno di ogni delizia e gradito a ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; si adattava al guisto di chi ne mangiava, si trasformava in ciò che ognuno desiderava» (Sap 16, 20-21). Niente poteva essere comandato di più salutare. Questo sacramento infatti é il frutto del legno della vita. Se qualcuno lo riceve con devozione e fede sincera, non gusterà la morte in eterno. «E' un albero di vita per chi ad essa di attiene, e chi ad essa si stringe é beato» (Pro 3, 18); «Colui che mangia di me, vivrà per me» (Gv 6, 57). Niente ci poté essere comandato di più amabile. Questo infatti é il sacramento che crea l'amore e l'unione. E' segno del massimo amore dare se stesso in cibo. «Non diceva forse la gente della mia tenda: A chi non ha dato delle sue carni per saziarsi?» (Gb 31, 31); quasi avesse detto: tanto ho amato loro ed essi me, che io volevo trovarmi dentro di loro ed essi ricevermi in sé, di modo che, incorporati a me, diventassero mie membra. Non potevano infatti unirsi più intimamente e più naturalmente a me, né io a loro.
Niente infine ci poteva essere comandato di più connaturale alla vita eterna. Infatti la vita eterna esiste e dura perché Dio si comunica con tutta la sua felicità ai santi che vivono nella condizione di beati.(22, 19; Opera omnia, Parigi 1890-1899, 23, 672-674)
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