preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Fattosi monaco sotto la guida di Silvestro, condusse vita eremitica in una cella appartata sul Montefano, presso Fabriano; per questo fu denominato «Solitario» o «dalla cella». Per umiltà non volle diventare sacerdote, preferendo rimanere nello stato laicale. Fu particolarmente legato al B. Giovanni dal Bastone. Non si conosce la data della morte; la tradizione ne assegna la memoria al 31 agosto.
A Fabriano, nel monastero di Montefano, il beato Giovanni dalla Cella o Solitario, discepolo di san Silvestro abate. Condus-se vita eremitica in una cella separata dal monastero. Monaco di grande pietà, reci-tava due volte al giorno i salmi che i con-fratelli cantavano quotidianamente in co-ro. Il 26 novembre 1267 vide discendere dal cielo gli angeli per prendere l'anima del santo fondatore e portarla in paradiso.
Dalla «Vita del beato Giovanni dal Bastone, confessore e mirabile eremita»
Giovanni dal Bastone celebrava i divini misteri con tanta riverenza, devozione e timore come se stesse alla presenza di Cristo visibilmente pendente dalla croce e così provocava nei presenti un fervore di intensissima devozione. Fra di essi ricordiamo, in particolare, un altro Giovanni, soprannominato dalla Cella, uomo di grande santità e riputazione. Pur avendo avuto la possibilità di accedere al sacerdozio, per umiltà non aveva voluto neanche ricevere la tonsura clericale. Recitava le ore canoniche due volte, vale a dire sia quelle che consistevano nei salmi come quelle formate dall'orazione del Signore.
Egli, mosso da devozione e da schietta semplicità, desiderava vedere il corpo di Cristo nella sua realtà umana. Lungamente nelle sue preghiere chiese questa grazia con grande sentimento. Dio, che è solito soddisfare il desiderio dei giusti, accondiscese alla richiesta di questo solitario. Assistendo una volta alla messa del santo, al quale era molto affezionato, al momento dell'elevazione, mentre il corpo di Cristo era elevato in alto, vide non già le apparenze del pane, ma le sembianze di un fanciullo più splendente della luce del sole. Per questo specialissimo favore e perché il ricordo della passione di Cristo gli era presente continuamente nel cuore, rese grazie a Dio piangendo a calde lacrime. In seguito lo stesso solitario rivelò al santo uomo il segreto della grazia ricevuta. Questi, in considerazione della sua semplicità e della scarsa conoscenza delle Scrittura divine e anche perché non venisse a diminuire il suo merito, lo ammonì a non chiedere più simili cose. E aggiunse questa motivazione: è più meritorio credere alla presenza del corpo di Cristo sotto le specie del pane consacrato, che contemplarlo nelle proprie sembianze. Il solitario si attenne a questa esortazione e la conservò nel cuore finché visse.(c. 5, ed. Bibliotheca Montisfani 10, Fabriano 1991, pp. 129-131)
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