preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
«Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». È la madre dei due figli di Zebbedèo, soprannominati "Figli del tuono", che parla ed implora per loro un posto di privilegio nel futuro regno di Gesù. Come ogni buona mamma aspira a vedere i suoi due figli al primo e al secondo posto nel "Regno". Dalla risposta di Gesù appare evidente che a sollecitare la raccomandazione sono stati gli stessi figli, Giacomo e Giovanni. Del resto non erano estranei a simili discorsi neanche gli altri apostoli. Mentre il Signore stava preannunciando la sua prossima passione, sente i suoi che lo seguono, discutere su chi di loro dovrà essere il primo, vi ricordate. Disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Il divino maestro non indugia ad indicare di che trono si tratti e quale è la condizione per sedervi. Il suo regno non è di questo mondo e aggiunge che vuole essere il primo deve essere l'ultimo di tutto e il servo di tutti. Si tratta di bere il calice amaro della passione, di offrirsi in libagione come vittime. Gesù dinanzi a quella passione atroce invocò il Padre suo celeste: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Dovranno arrivare i giorni della passione, dello scandalo della croce, della fuga e della paura per comprendere che cosa significhi bere il calice. Sia Giacomo che Giovanni berranno allo stesso calice di Cristo e coroneranno con la palma del martirio la loro vita. Così ci si svela il vero valore della sofferenza e del martirio: è la partecipazione al sacrificio di Cristo, la condivisione di una crudeltà assurda che sgorga dal peccato per infliggere la morte. Ma quella morte che ormai per la forza di Cristo ci condurrà alla risurrezione, alla vita eterna.
Chi è il monaco? E' monaco colui che da tutto è separato e a tutti è armoniosamente unito.
CONVOCAZIONE DEI FRATELLI A CONSIGLIO In ogni cosa poi tutti seguano la Regola come maestra e nessuno ardisca temerariamente allontanarsene. Nessuno in monastero segua le inclinazioni del proprio cuore; né alcuno abbia l'ardire di contendere ostinatamente con il proprio abate dentro o fuori del monastero; chi lo osasse, sia sottoposto alla disciplina regolare. L'abate però, da parte sua, faccia tutto nel timor di Dio e nell'osservanza della Regola, sapendo che di tutti i suoi giudizi dovrà senza dubbio rendere conto a Dio, giustissimo giudice.
Quando poi nel monastero si devono trattare questioni di minore importanza, l'abate si serva soltanto del consiglio degli anziani, poiché sta scritto: «Fa' tutto con il consiglio e dopo non te ne pentirai» (Sir 32,24).
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