preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Gesù riporta questa frase dell'Antico Testamento al termine di una ennesima controversia con i farisei. Leggiamo nel vangelo come loro si sono scandalizzati contro i discepoli di Gesù che, in giorno di festa, coglievano spighe per sfamarsi. I farisei erano certi di essere nel giusto, di fare la volontà di Dio, perché compivano alla lettera le innumerevoli prescrizioni legali. Ma questa non è saggezza evangelica, non è caratteristica cristiana. Dio si è manifestato come liberatore e vuole che il nostro slancio verso di lui sia obbedienza, ma non un'obbedienza legalistica ma piuttosto l'obbedienza dei figli, l'obbedienza figliale. Noi siamo obbedienti ai suoi comandamenti proprio perché egli ci ama come Padre e ci ha reso liberi, capaci di conoscere le situazioni, capaci di giudicarle, capaci di prendere le decisioni giuste per il bene nostro e degli altri. Il Signore vuole che viviamo nella carità ed ogni precetto, ogni comandamento è subordinato ad essa. Così la nostra vita renderà testimonianza a lui, Dio, che crea gli uomini liberi.
«Una parola non è possibile adesso – constata tristemente un padre del deserto. Quando i fratelli interrogavano gli anziani e facevano ciò che questi dicevano, Dio provvedeva per loro come dovevano parlare. Ma ora, poiché chiedono e non fanno ciò che odono, Dio ha tolto dagli anziani il dono della parola; e non sanno cosa dire, perché non vi è chi metta in pratica»
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE Sappia pure l'abate che il padre di famiglia ascriverà a colpa del pastore quanto di minor bene avrà trovato nel suo gregge. Sarà scusato, il pastore, soltanto se avrà usato ogni diligenza verso un gregge turbolento e disobbediente e avrà applicato tutti i rimedi alla loro cattiva condotta; allora, assolto nel giudizio divino, potrà dire col profeta: «Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore, la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato (Sal 39,11); ma essi mi hanno deriso e disprezzato» (Is 1,2 Volg.). E allora per le pecore ribelli alle sue cure ci sarà alla fine quale castigo la morte.
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