preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Questa manifestazione di Gesù ai discepoli sul mare di Tiberìade è l'ultima che il quarto vangelo ci narra. Anch'essa, oltre ad essere prova del fatto della risurrezione, è anche 'segno' tangibile della presenza e dell'azione permanente di Cristo Risorto nella comunità dei suoi discepoli, nel seno della Chiesa. C'è di più. In questo brano si avverte la necessità di riabilitare l'apostolo Pietro che per tre volte aveva rinnegato il suo Signore, durante la passione. Era già stato perdonato da Gesù e aveva pianto amaramente, ma l'eco di quel triplice rinnegamento lo accompagnava ovunque si annunciasse il Vangelo. "Simone di Giovanni, mi ami più di costoro? Gli rispose Pietro: "Tu sai, Signore, che ti voglio bene". Ecco la condizione di Gesù, una condizione finalizzata: "Pasci i miei agnelli". Per tre volte si ripete questo brevissimo dialogo e all'affermazione di amore di Pietro, Gesù ancora ripete, dicendo: "Pasci le mie pecorelle". Pietro dovrà "pascere" le pecorelle di Gesù. Queste appartengono sempre al Signore, il quale senza rinunciare al suo diritto di proprietà "le mie pecorelle" le affida a Pietro, perché le assista fedelmente. L'apostolo forse avrebbe immaginato di dover dire lunghe parole per spiegare a Gesù il suo rinnegamento, e per chiedergliene molte volte perdono. Ebbene nessuna di queste parole gli è chiesta. L'unica maniera per colmare il vuoto formato per un momento di infedeltà, è dedicarsi perdutamente al gregge di Cristo. E' una riflessione che può diventare molto concreta per noi. Lasciamo di piangerci addosso per il nostro peccato. L'insegnamento che ci viene proposto è un programma concreto di come noi possiamo amare Dio e di come Dio si aspetta di essere amato da noi.
Il padre Dula diceva: "Tronca molte relazioni, perché il tuo spirito non venga assediato da una guerra che lo distrugga e turbi l'unione con Dio".
I FIGLI DEI NOBILI E DEI POVERI Quanto poi alle sue sostanze, promettano sotto giuramento nella carta di petizione che né per sé né per mezzo di un loro rappresentante né in qualunque altro modo gli daranno mai alcuna cosa e neppure occasione di averla; oppure, se non vogliono fare così ma intendono offrire qualcosa in elemosina al monastero quale compenso, facciano regolare donazione dei beni che desiderano dare, riservandosene eventualmente l'usufrutto. E così siano precluse tutte le vie per cui al fanciullo non rimanga alcuna illusione, ingannato dalla quale egli possa - non sia mai! - perdersi: cosa che purtroppo abbiamo appreso per esperienza. Allo stesso modo facciano i genitori meno ricchi. Quelli poi che non hanno proprio nulla stendano semplicemente la petizione e offrano, davanti a testimoni, il proprio figlio insieme all'oblazione della Messa.
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