preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
In una grande teofania il Signore sul monte Sinai, aveva scritto con il suo dito il Decàlogo, quelle Dieci parole, con cui intendeva stabilire un patto ed una alleanza con Mosè e con il suo popolo. Molte false interpretazioni e limitazioni erano succedute a quella rivelazione divina al punto che lo stesso Cristo dirà, rimproverando scribi e farisei, che le tradizioni degli uomini avevano preso il posto della legge di Dio. L'amore al Signore e al prossimo, il primo dei comandamenti, aveva subìto le più gravi mutilazioni. Per cui Gesù, volendo correggere tanti errori e dare compimento alla legge, fino a poterci parlare di perfezione, comincia col dire: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti». Quindi per essere figli di Dio, nei fatti e non solo a parole, dobbiamo assumere l'impegno di amare tutti e perfino i nostri nemici e la nostra preghiera, per essere autentica espressione di amore, dovrà includere anche i nostri persecutori. La motivazione di questo arduo impegno deriva dal fatto che Dio per primo estende il suo amore a tutti indistintamente, prediligendo proprio gli ingiusti e i peccatori: il sole splende su tutti e la pioggia non si trattiene dal fecondare la terra dei cattivi. L'arte di amare, già difficile di per sé, diventa davvero la prova del fuoco per il cristiano, quando la persona da amare è un nemico o addirittura un persecutore. Ci affascina l'esempio di Cristo, che morente sulla croce, grida il suo perdono ai suoi crocifissori, ma non serve a spegnere il nostro orgoglio e a mortificare la nostra traballante logica, se la grazia di Dio non ci pervade completamente. L'amore che Cristo ci propone è un apice ed una perfezione, che possiamo attuare solo ed elusivamente con la forza dell'intervento divino.
«Non è ancora perfetta quella preghiera in cui il monaco ha coscienza di sé e del fatto stesso di pregare».
L'UMILTÀ Il settimo gradino dell'umiltà si sale quando il monaco, non solo a parole si dichiara l'ultimo e il più spregevole di tutti, ma si ritiene veramente tale anche nel più profondo del cuore, umiliandosi e dicendo col profeta: «Io sono verme e non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo» (Sal 21,7); «mi sono esaltato e allora sono stato umiliato e confuso» (Sal 87,16 Volg.); e ancora: «Bene per me se sono stato umiliato, perché impari ad obbedirti» (Sal 118,71).
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