preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Gesù si è dichiarato come l'unica via per andare a Dio, suo Padre, e ora afferma che la conoscenza di lui, è conoscenza del Padre. Il verbo conoscere in ebraico dice più di un rapporto intellettuale con la persona conosciuta, dato che veniva usato per esprimere l'esperienza del rapporto sponsale ossia la condivisione completa della vita di coppia. "Se conosceste me, conoscereste anche il Padre; fin d'ora lo conoscete e lo avete veduto". Filippo un po' sorpreso intervenne e disse: "Mostraci il Padre" e Gesù subito replicò: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto?". Appunto per questo Gesù fa di nuovo appello alla fede e alla esperienza dei discepoli: le sue parole, e soprattutto le sue opere rendono testimonianza che il Padre è in Gesù ed in lui agisce. Il Padre è in Gesù, perché in lui e per mezzo di lui compie la sua opera di salvezza a beneficio dell'uomo. E similmente la fede dei discepoli in Gesù, li rende idonei ad operare come lui, anzi faranno opere maggiori, perché in loro è egli stesso a operare. "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". Gesù vuole che lo guardiamo con la fede, vuole essere il nostro modello, la nostra maniera nuova di vivere. Quello che è stato affermato di Gesù deve essere applicato anche al cristiano. Con la sua fede infatti in Cristo, egli dev'essere molto vicino a Dio così anche noi, come Cristo, abbiamo il dovere di far sì che gli altri, guardandoci, vedano il Padre. "Risplenda la luce delle vostre opere in modo che gli uomini diano gloria al Padre vostro che è nei cieli". La domanda di Filippo allora è la domanda che tutti gli altri uomini dovrebbero farci e noi dovremmo essere in grado di rispondere con la nostra vita: "Come potete dire: mostraci il Padre? Non vedete che il Padre si manifesta nelle opere nostre?". Potrebbe sembrare un'autentica presunzione una risposta di questo genere. E' semplicemente il nostro dovere, è la nostra doverosa testimonianza cristiana, almeno in una saggia disponibilità.
Un fratello andò da un eremita e uscendo dalla sua cella disse: Perdonami, o padre, perché ti ho impedito di adempiere alla tua regola. Quello rispose dicendogli: La mia regola è di accoglierti in modo ospitale e di farti andare in pace.
VESTI E CALZATURE DEI FRATELLI Ai fratelli si diano vesti secondo le condizioni e il clima dei luoghi dove risiedono, perché nelle regioni fredde si ha bisogno di più, in quelle calde di meno. Giudicare di questo spetta all'abate. Comunque noi pensiamo che nelle regioni a clima temperato siano sufficienti a ciascun monaco la tunica, la cocolla, una di pelo per l'inverno e una di stoffa liscia o consumata per l'estate e lo scapolare per il lavoro; le calze e le scarpe per i piedi. Quanto poi al colore o alla qualità degli indumenti, i monaci non vi facciano troppo caso, ma si accontentino di ciò che si trova nel territorio dove abitano o di quel che si può acquistare a minor prezzo. L'abate però si preoccupi della misura delle vesti, che non siano troppo corte per chi le deve indossare, ma di taglia giusta.
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