preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
I desideri umani, se non guidati dalla sapienza dello Spirito, sfociano inevitabilmente nella cupidigia; le necessità della vita, sull'onda della umana insaziabilità, si moltiplicano senza limite fino a farci credere di dover vivere sempre e soltanto nella situazione terrena. Ci convinciamo anche di essere noi soltanto i padroni del tempo e della vita e i destinatari delle nostre cose, chiudendoci in un'insanabile egoismo. Siamo anche noi tentati di pensare come l'uomo ricco di cui ci parla il Vangelo di oggi: una volta acquisite le nostre sicurezze, i nostri beni, riempiti i granai delle nostre bramosie, diciamo a noi stessi: «Hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia e bevi e datti alla gioia». Il Signore da un giudizio completamente diverso della felice situazione in cui crede di essere quell'uomo. Egli lo definisce «stolto» perché ha sbagliato completamente i conti: ha saputo misurare l'entità delle sue ricchezze, ma non ha valutato la caducità del tempo e la vera destinazione di quei beni. Ha pensato ad una felicità solo terrena e si è dimenticato dell'eternità. Ecco perché il Signore non intende immischiarsi in faccende di eredità. Troppo spesso proprio in quelle circostanze emergono in modo violento l'attaccamento al denaro e agli interessi solo umani. Dovremmo ricordarci che la nostra vera vita non è quaggiù, dove tutto perisce, ma nell'eternità di Dio, dove le vere ricchezze si tramutano in gioia perenne.
Un fratello era assalito da molto tempo dal demone dell'impurità e malgrado molti sforzi non riusciva a sbarazzarsene. Una volta, mentre era alla Sinassi, si sentì come d'abitudine tormentato dalla passione; decise dunque di trionfare sulla macchinazione del demonio e di chiedere ai fratelli di pregare per lui affinché fosse liberato. E, sprezzando ogni vergogna, si mise nudo davanti a tutti i fratelli e mostrò l'azione di Satana: «Pregate per me, padri e fratelli miei», disse, «perché sono quattordici anni che sono così combattuto»; e subito il combattimento si allontanò da lui, grazie all'umiltà che aveva mostrato.
IN QUALI ORE I FRATELLI DEVONO PRENDERE I PASTI Dalla santa Pasqua fino a Pentecoste i fratelli pranzino a sesta e cenino la sera. Da Pentecoste poi per tutta l'estate, se i monaci non devono attendere ai lavori dei campi e se l'eccessivo calore estivo non lo impedisce, il mercoledì e il venerdì digiunino fino a nona; negli altri giorni pranzino a sesta. Ma se avessero lavori nei campi o la calura estiva fosse opprimente, si mantenga il pranzo a sesta anche in quei due giorni; e ciò sia rimesso al provvido giudizio dell'abate; egli appunto deve regolare e disporre le cose in modo che le anime si salvino e quello che i fratelli fanno, lo facciano senza alcun fondato motivo di mormorazione.
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