Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Domenica 26 settembre 2010

Il povero ed il ricco.

Gesù ci pone sempre davanti a due realtà, a due atteggiamenti, a due proposte di vita tra le quali poter scegliere. Nella parabola sono presentati due personaggi uno povero e mendicante e un ricco. La differenza che sottolinea Gesù non è nella loro posizione sociale ma nel diverso approccio verso la vita. Per prima vi è il ricco che pensa a trascorrere le giornate solo a banchettare ed a soddisfare i propri desideri. Non si cura degli altri che gli stanno intorno e neanche pensa alle loro necessità e ai loro bisogni. Egli pensa solo a se stesso. Poi arriva il mendicante che è uno escluso dal consenso sociale: è trattato peggio dei cagnolini; è un emarginato non ha di che sostenersi. A questi due atteggiamenti poi corrispondono due realtà che tra loro sono incomunicabili: il paradiso e l'inferno. Sono la rappresentazione della nostra scelta di vita: quanto interviene Dio nella nostra vita? Come lo dimostriamo, nella carità nella nostra fede? La risposta a queste domande non è il castigo di un Dio giudice e senza misericordia ma è la conseguenza della nostra scelta di vita, attuata in piena libertà e che Dio poi rispetta. Dio ci offre continuamente la possibilità di salvezza e la stessa parabola ne parla. È Dio che «aveva già parlato nei tempi antichi molte volte ed in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti» come dice l'autore della Lettera agli Ebrei; ed ha anche mandato il suo Figlio, è l'accenno finale della parabola si riferisce proprio alla redenzione che si compie attraverso la morte e resurrezione di Gesù Cristo. Noi non abbiamo scusanti per la nostra negligenza e abbiamo il dovere di annunciare questo messaggio di salvezza a chi non lo ha ancora recepito perché Gesù ci dice: «quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti».


Apoftegmi - Detti dei Padri

Un anziano disse: «Se l'uomo fa la volontà del Signore, non finisce mai di udire la voce interiore».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

QUELLI CHE PIÙ VOLTE RIPRESI NON VOGLIONO CORREGGERSI

Se un fratello, ripreso più volte per una qualsiasi colpa, se anche scomunicato, neppure così si sarà corretto, si usi con lui una punizione più severa, cioè lo si sottoponga al castigo delle battiture. Ma se nemmeno così si vorrà emendare, anzi levatosi in superbia - che non sia mai! - oserà addirittura difendere la sua condotta, allora l'abate agisca come un medico esperto: se ha adoperato i lenitivi, gli unguenti delle esortazioni, i farmaci delle divine Scritture e infine le bruciature della scomunica o delle piaghe delle verghe, e costata ormai che a nulla approdano le sue industrie, faccia ricorso - ciò che vale di più - alla preghiera sua e di tutti i monaci, affinché il Signore, a cui tutto è possibile, operi la guarigione del fratello infermo. Ma se neppure così quegli guarirà, allora l'abate usi senz'altro il ferro dell'amputazione, come dice l'apostolo: «Togliete il malvagio di mezzo a voi» (1 Cor 5,13); e ancora: «Se l'infedele vuole andarsene, se ne vada» (1 Cor 7,15), perché una pecora infetta non contagi tutto il gregge.


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