preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Ripetuto nel cuore il ritornello del salmo responsoriale: "Ti esalto, Signore, perché mi hai liberato". E' una preghiera di liberazione e di ringraziamento che sgorga dal cuore di un pellegrino pentito e convinto del suo Creatore. Dopo una dura prova di vita, adesso manifesta liberamente la sua disponibilità, la sua adesione totale a Dio. Con questa preghiera, il pellegrino ritorna alla sua vita d'origine, ricostruisce la sua Alleanza. E' un uomo maturo, coraggioso e pieno di fede. Ha sperimentato che fuori del Signore: tutto è vanità. La sua preghiera invita gli amici a fare la stessa esperienza con lui. La fede è al centro della sua preghiera e anche la via della salvezza. In questa preghiera di ringraziamento troviamo un punto d'unione nel Vangelo odierno, cioè un funzionario angosciato che prega il Signore Gesù Cristo di scendere a guarire suo figlio. La preghiera e la fede di quel padre spalancano le porte al mistero di Dio. Cristo è a tu per tu con la malattia, la sofferenza, la morte. Egli affronta la miseria dell'umanità. Egli cura, sana l'uomo con la sua Parola. "Va, tuo figlio vive". Gesù ha la Parola di Verità e di risurrezione. Ecco sant'Ireneo che diceva: "La gloria di Dio è l'uomo vivente". Cristo ci dimostra la verità della sua missione sulla terra: egli è venuto a cercare non i sani ma i malati. Cristo è il sacramento di Dio, sacramento della fede e della restaurazione. In questa linea Cristo attende da noi una fede coerente e sicura, che ci dà la garanzia. Quell'uomo ha avuto la forza di credere alla parola di Gesù: sulla sua parola io cambio il mio atteggiamento, non persisto più. Tuttavia Gesù parla al nostro cuore, ci ripete: "Abbi fiducia". Ogni croce con Cristo conduce alla risurrezione. Se crediamo, allora il progresso nella fede è possibile, è garantito.
Si domandò al nostro santo padre Atanasio, l'arcivescovo di Alessandria: «In qual modo il Figlio è uguale al Padre?». Rispose: «Come la vista nei due occhi».
LE COLPE PIÙ GRAVI Il fratello invece che si macchia di colpe più gravi venga escluso sia dalla mensa che dall'oratorio. Nessuno dei fratelli abbia alcun rapporto con lui, né gli rivolga la parola. Egli se ne stia solo al lavoro che gli è stato assegnato mantenendosi nell'afflizione della penitenza, memore di quella terribile sentenza dell'apostolo che dice: «Un tal individuo sia consegnato alla morte della carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore» (1 Cor 5,5). Prenda il cibo da solo, nella misura e nell'ora che l'abate giudicherà più opportuna per lui. Nessuno incontrandolo lo benedica e non sia benedetto neppure il cibo che gli viene dato.
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