preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
I tratti caratteristici di Gesù, buon Pastore, così come ci vengono descritti in questo brano evangelico ce lo fanno cogliere nella sua vera e profonda personalità e nella piena consapevolezza della sua missione salvifica. Il mondo d'altra parte è pieno di pastori, ossia di gente che sente la vocazione di guidare, di dominare altra gente, ma non tutti per questo sono pastori buoni. Il buon Pastore è uno solo e non è difficile riconoscerlo, perché: "Il buon Pastore offre la vita per le pecore". Egli dunque, il Signore Gesù, acquista il diritto di guidarci, perché ci ha mostrato con i fatti che non ha il gusto di comandarci, ma piuttosto la passione di salvarci. E ancora: "Io sono il Pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me; come il Padre conosce me e io conosco il Padre". Essere conosciuti da Cristo e conoscere Cristo in modo che la sua presenza domini la nostra giornata, il suo Vangelo illumini la nostra mente e infiammi il nostro cuore, questa è pregnanza di vita. Conoscere nel linguaggio biblico è condividere l'esistenza; certo la relazione nelle persone divine supera d'intensità la nostra, ma è vera anche la nostra, come nell'amore sponsale. "Ho anche altre pecore, che non sono in questo recinto. Anche di quelle devo diventare pastore". Questa salvezza però non è riservata solo a coloro che attualmente seguono il Signore con fede e dedizione, perché anche altri debbono ascoltare questa voce che chiama a salvezza e debbono diventare parte della comunità dei suoi discepoli. Questo compito di annuncio e di chiamata, Gesù lo ha affidato alla sua Chiesa come suo segno e strumento.
L'abba Antonio scrutava la profondità dei giudizi di Dio; e domandò: «Signore perchè alcuni muoiono dopo breve vita, mentre altri giungono all'estrema vecchiezza? Perché alcuni mancano di tutto, e altri abbondano di ogni bene? Perchè i malvagi sono ricchi, e i buoni schiacciati dalla povertà?». Una voce gli rispose: «Antonio, occupati di te stesso: questi sono i giudizi di Dio e non ti è utile capirli».
LA MISURA DEL CIBO Nel caso si fossero eseguiti lavori più pesanti, l'abate avrà piena facoltà, se lo ritiene opportuno, di aggiungere qualcosa, purché assolutamente non si arrivi all'intemperanza e il monaco non sia colto dall'indigestione; nulla infatti è tanto sconveniente a ogni cristiano quanto l'ingordigia, come dice il Signore nostro: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano per l'eccesso di cibo» (Lc 21,34). Ai fanciulli più piccoli non si dia la stessa quantità di cibo, ma inferiore a quella degli adulti; e in tutto si conservi la sobrietà. Quanto poi alle carni di quadrupedi, tutti se ne astengano in modo assoluto, ad eccezione di coloro che sono molto deboli o ammalati.
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