Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Venerdì 14 aprile 2006

"Donna ecco tuo figlio!", "Ecco tua madre!"

Sono le frasi che Gesù sulla Croce pronuncia dirette a Maria ed a Giovanni. Un momento prima di morire si ricorda di sua madre, si ricorda di noi; dalla croce ha la forza dello Spirito di continuare la sua missione di Amore. La morte non può sconfiggere questa forza e i legami che sembrerebbero spezzare con essa Gesù stesso, dall'alto della Croce. Non è un saluto formale quello di Cristo ma è vitale e pregno di amore perché è proiettato verso il futuro, oltre la Resurrezione della Pasqua e si incontra nel cammino che farà nascere la Chiesa. Da qui, da questo momento tutti noi sapremo che Maria non è soltanto la Madre di Dio, ma la Madre di tutti noi perché Madre della Chiesa. L'eredità di Gesù è la stessa Madonna e non potevamo aspirare a niente di meglio, tesoro più inestimabile non vi è. Preghiamola quindi ogni giorni, quando pensiamo alla Croce di Gesù ricordiamoci che vi era lei sotto a piangere. Maria è presente nella quieta gioia della notte di Natale, ora sotto la Croce dolorosa, e sarà presente in preghiera nel Canacolo quando lo Spirito Santo scenderà sugli apostoli discepoli perché inizino la loro missione per tutte le strade del mondo! Se sappiamo pregare Maria per Nostro Signore sicuramente le nostre preghiere non saranno inascoltate!


Il racconto della Passione di Gesù Cristo, costituisce, anche da punto di vista cronologico, il primo nucleo della predicazione apostolica, il punto fondamentale della proclamazione della fede della chiesa. Nella liturgia di oggi, la proclamazione della passione assume una importanza centrale: il valore della parola, come segno sacramentale della presenza attuale del Cristo, prende grande evidenza e polarizza a sé tutta la celebrazione di oggi. Sulla croce il Cristo realizza la suprema manifestazione del nome di Dio: Agāpe. Il poema descrive la sofferenza Salvatrice e gloriosa del servo di Jahve. Il suo dolore è un mistero. Il suo dolore però rivela non il suo proprio peccato – egli è innocente – ma il peccato del popolo. Il servo accetta questa piano di Dio, consapevole che lo condurrà alla morte e ad una sepoltura. Cristo è il servo di Jahve, è lui che si consegna alla morte per il popolo. La risurrezione costituisce la sua esaltazione.

La chiesa oggi non celebra l'Eucaristia, ma invita i fedeli a rivivere nel silenzio adorante e nel modo più intenso possibile il mistero della morte di Cristo, la sua assurda condanna, l'atroce passione e la sua ignominiosa morte sul patibolo. E' così che potremmo trarne la più logica ed impegnativa conclusione: noi responsabili in prima persona di quella morte con i nostri peccati re e Dio immenso nell'amore! L'adorazione che poi segue nell'altare della riposizione assume per tutti le caratteristiche della doverosa riparazione e della migliore gratitudine. Le chiesa spoglie e disadorne ci aiutano ulteriormente a comprendere da una parte la gravità della tragedia che si sta consumando nel mondo e dall'altra l'attesa di un evento risolutivo che già intravediamo nella fede e nella speranza ed è il mattino di Pasqua.

Lo vediamo come il servo: su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati tutti gli uomini. Oggi è il giorno della immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale. Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell'adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo. Siamo sempre sotto la croce. Non c'è momento, non c'è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.

Apoftegmi - Detti dei Padri

L'abba Antonio scrutava la profondità dei giudizi di Dio; e domandò: «Signore perchè alcuni muoiono dopo breve vita, mentre altri giungono all'estrema vecchiezza? Perché alcuni mancano di tutto, e altri abbondano di ogni bene? Perchè i malvagi sono ricchi, e i buoni schiacciati dalla povertà?». Una voce gli rispose: «Antonio, occupati di te stesso: questi sono i giudizi di Dio e non ti è utile capirli».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

LA MISURA DEL CIBO

Nel caso si fossero eseguiti lavori più pesanti, l'abate avrà piena facoltà, se lo ritiene opportuno, di aggiungere qualcosa, purché assolutamente non si arrivi all'intemperanza e il monaco non sia colto dall'indigestione; nulla infatti è tanto sconveniente a ogni cristiano quanto l'ingordigia, come dice il Signore nostro: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano per l'eccesso di cibo» (Lc 21,34). Ai fanciulli più piccoli non si dia la stessa quantità di cibo, ma inferiore a quella degli adulti; e in tutto si conservi la sobrietà. Quanto poi alle carni di quadrupedi, tutti se ne astengano in modo assoluto, ad eccezione di coloro che sono molto deboli o ammalati.


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