preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Dovunque Gesù vada, gli si chiede una opera prodigiosa; subito si presenta qualcuno da guarire. Anche a Betsaida succede la stessa cosa: a Gesù è portato un cieco. Stavolta, però nel miracolo troviamo un diverso atteggiamento di Gesù. A Gesù è richiesta una dimostrazione pubblica. Gli è chiesto un miracolo perché, con la guarigione, possa dimostrare ancora una volta una presenza diversa. Il miracolo domandato in questo modo vuol chiedere a Gesù un significato, una indicazione preziosa per chi gli sta intorno. Gesù accoglie questo invito; stavolta però pensa soprattutto la richiesta della guarigione e la opera in un modo diverso da quanto sottointeso da tutti gli altri. Gesù guarda sempre e soprattutto alla persona ed al suo bene spirituale e fisico; i suoi miracoli non si lasciano mai condurre ad una semplice manifestazione di grandiosità e prodigalità; hanno sempre in vista il bene ultimo dell'uomo. Stavolta, però Gesù vuol privilegiare il contatto personale ed intimo con chi gli è portato davanti. La dinamica del miracolo significa un accompagnamento, una sensibilità, una premura ed una sollecitudine che mettono al primo posto proprio l'uomo. Gesù accompagna il cieco per mano; Gesù si dimostra interessato che la guarigione sia completa. Dalla descrizione del miracolo capiamo che il miracolato non è un cieco nato; cerca di distinguere le figure che all'inizio gli appaiono confuse ed indistinte; è diventato cieco, quindi ed ha bisogno dell'aiuto del Signore per vederci perfettamente. Gesù stesso non si accontenta che il cieco riveda con un barlume di vista; vuole che essa sia perfetta. Nel cieco ci rispecchiamo noi tutti quando chiediamo a Gesù che ci accompagni per le vie del mondo perché possiamo vedere tutto perfettamente alla luce della fede.
«Qualunque immagine appaia, colui che la vede non cada in trepidazione, ma piuttosto interroghi con sicurezza dicendo dapprima: "Chi sei tu e da dove vieni?"... Se si tratta di una potenza diabolica, subito si indebolirà vedendo un animo sicuro e vigoroso.
L'UMILTÀ Il secondo gradino dell'umiltà si sale quando uno, non amando la propria volontà, non si compiace di soddisfare i suoi desideri, ma imita con i fatti quella parola del Signore che dice: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6,38). E similmente la Scrittura dice: «La volontà propria merita la pena, mentre la costrizione procura il premio». Il terzo gradino dell'umiltà si sale quando uno per amor di Dio si sottomette al superiore in tutta obbedienza, imitando il Signore di cui dice l'apostolo: «Si è fatto obbediente al Padre fino alla morte» (Fil 2,8).
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