preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
L'accusa di Gesù è grave ed inequivocabile. La sua portata si amplifica se pensiamo a chi è rivolta. Sono gli scribi, venuti da Gerusalemme, il cui compito è anche verificare l'operato e le parole di questo Gesù di Nazareth di si cui parla tanto. Essi rappresentano la religione ufficiale, quasi un tribunale senza appello per Gesù; un tribunale che pretende di operare in nome di quel Dio che ha sempre rappresentato il fondamento della loro religione. E lo colgono subito in difetto, almeno secondo il loro punto di vista, con un giudizio che sembra essere spietato. Gesù però non solo ribalta l'accusa a chi lo vuol condannare ma va ancora in profondità. Senza mezzi termini accusa chi si sente il depositario di un insegnamento divino, di non rispettare i comandi del Signore; anzi le loro prescrizioni, promulgate nel nome del Signore, in realtà spesso ne sono contrarie. Non è soltanto un appello a liberarsi dalle ipocrisie ma riguarda il loro rapporto con la religione stessa. Gesù, da vero ebreo, rispetta tutte le leggi mosaiche; la sua Legge di amore non ribalta la legge del Sinai; la perfeziona e la completa. Gesù rispetta, quindi la vera e pura tradizione; guarda all'uomo e ne assume appieno la sua culturalità, il suo vivere sociale. La lezione di Gesù non è quindi contro le tradizioni degli uomini; non chiede una religione al di fuori di qualsiasi regola o legge. L'opposizione forte è quando l'uomo vuole sovrapporsi a Dio stesso; quando la tradizione cancella il comandamento di Dio.
Un fratello ha detto ad un anziano: «Io non vedo lotte nel mio cuore». L'anziano gli rispose: «Tu sei un edificio aperto da tutti i lati. Chiunque entra da te e ne esce a proprio piacimento. E tu, tu non sai ciò che accade. Se tu avessi una porta, se tu la chiudessi ed impedissi ai cattivi pensieri di entrare, allora li vedresti fermi all'esterno e combattere contro di te».
L'OBBEDIENZA DEI DISCEPOLI E difatti parlare e insegnare è compito del maestro, tacere e ascoltare è dovere del discepolo. Quindi, se si deve chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con tutta umiltà e sommo rispetto, in modo da non parlare più di quanto sia conveniente. Quanto poi alle volgarità, alle parole inutili o alle buffonerie, le escludiamo nel modo più assoluto da tutto l'ambito del monastero e non permettiamo che il discepolo apra la bocca a tali discorsi.
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