preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Il digiuno è un atto penitenziale che la chiesa pratica sin dalle sue origini ed comune a molte altre espressioni religiose. Ha lo scopo di distoglierci dai beni temporali e predisporre l'animo ai valori dello spirito. Ha anche un valore di espiazione e ascetico. Alcuni santi lo hanno praticato in modo eroico. Al tempo di Gesù lo praticavano anche i discepoli del Battista e i seguaci dei farisei. Da qui la domanda provocatoria rivolta a Gesù: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». La risposta di Gesù, come sempre, è ricca di significati e di insegnamenti. Egli vuole proclamare la novità che sta sbocciando per tutti con la sua presenza nel mondo e con l'opera redentrice che sta già attuando. Il regno di Dio è in mezzo a noi. Nascono tempi nuovi alimentati non più da paure e timori, ma dall'amore dello "sposo" verso l'umanità riconciliata. È ormai in atto il tempo nuovo, il tempo delle nozze, il tempo della gioia e della festa, circostanze che non si conciliano più con il digiuno e con il lutto. "Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?". Soltanto se privati di questa gioia, inizierà il tempo del lutto e del digiuno. La novità del Cristo è totale e sconvolgente, non è assolutamente da paragonare ad un rattoppo sul vecchio e sul passato. Il vino è un vino nuovo, è quel vino, prima sorbito da Cristo come calice amaro e poi offerto a noi come bevanda di salvezza. "Verranno tempi " - dice però il Signore. È una velata allusione alla sua morte, alla passione sua e del mondo, al "già e non ancora", che crea la perenne ansia di una pienezza che ci sfugge.
«Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: "O Signore! Io voglio salvarmi, ma i miei pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?". Ora, sporgendosi un po', Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto ad intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l'angelo che diceva: "Fa' così e sarai salvo". All'udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio; così fece e si salvò».
QUALE DEVE ESSERE L'ABATE Non faccia preferenze di persone in monastero; non ami uno più dell'altro, eccetto chi avrà trovato migliore nelle buone opere e nell'obbedienza; non preferisca chi è nato libero a chi entra in monastero venendo dalla condizione servile, a meno che non ci sia un altro motivo ragionevole; che se, per dovere di giustizia, l'abate riterrà opportuno agire così, lo faccia per qualsiasi classe sociale; altrimenti ognuno conservi il proprio posto; perché, schiavi o liberi (Ef 6,8), tutti siamo uno in Cristo (Gal 3,28) e portiamo il medesimo peso della milizia e del servizio sotto un unico Signore: non vi è infatti presso Dio preferenza di persone (Rm 2,11); soltanto in una cosa possiamo distinguerci davanti a lui: se siamo trovati più umili e migliori degli altri nelle buone opere. Abbia dunque l'abate verso tutti uguale carità e, tenendo conto dei meriti di ciascuno, segua per tutti una medesima linea di condotta.
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