Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Venerdì 29 ottobre 2004

Gesù modello e fonte della vera amicizia

Una delle note caratteristiche della lettera ai Filippesi che oggi la liturgia ci propone è la gioia. Nel momento in cui Paolo scrive questa lettera si trova prigioniero, egli è fiero di soffrire per il Signore, si rallegra perché il Vangelo si propaga anche grazie alla cooperazione dei Filippesi, non solo con la loro assistenza materiale che Paolo solo eccezionalmente ha accettato, dimostrando il particolare affetto che prova per loro, ma soprattutto per la parte attiva che hanno preso durante l'evangelizzazione della Macedonia, condividendo le sofferenze di Paolo. "Un amico vuol bene sempre, è nato per essere un fratello nella sventura" (Pr 17,17). L'amicizia profonda che si è creata fra Paolo e la comunità di Filippi è fondata dunque sul comune amore a Cristo e al Vangelo, ha radici divine e non umane. Il brano è un invito a rivedere il nostro modo di vivere l'amicizia, a purificarla attraverso il cuore di Cristo Gesù da ogni forma di interesse, rivalità ed egoismo, perché impariamo a gareggiare nello stimarci a vicenda, a gioire con chi è nella gioia, a soffrire con chi è nel dolore. Siamo invitati a pregare chiedendo per chi ci sta a cuore l'unico bene necessario: la carità, che permette di fare scelte mature dettate dallo Spirito Santo per dare gloria a Dio; impariamo dunque a chiedere cose grandi per noi e per i nostri cari, soprattutto "i beni del cielo di modo che, come dice Origene, quando li avrete ottenuti, simili a creature celesti, siate eredi del Regno dei Cieli e, come i grandi santi, possiate usufruire del bene supremo; in quanto ai beni terreni e di poco conto, necessari al corpo ve li darà il Padre celeste secondo il bisogno". Guardiamo a Gesù modello e fonte di ogni vera amicizia, il Vangelo di oggi ce ne mostra un fulgido esempio: Gesù nella sua grande misericordia offre a tutti la salvezza, accetta l'invito a mangiare con i farisei che vogliono eliminarlo, perché si aprano al suo amore, per guarirli. L'idropico è un immagine del fariseo pieno di sé, delle sue certezze, del suo orgoglio; ognuno di noi ci si può ritrovare, Gesù per sgonfiare il nostro io si svuota totalmente morendo per noi suoi nemici, per risorgere e donarci nel cibo Eucaristico il suo spirito di umiltà, di mansuetudine e di obbedienza; ecco il dono del nostro più grande amico: la misericordia. Facciamo nostri i sentimenti di san Basilio prima di accostarci al banchetto di Gesù, che si fa pane per noi: "Sovrano Cristo, Dio Re dei secoli e creatore di tutte le cose, ti rendo grazie per tutti i beni che mi hai dato e per la partecipazione ai tuoi immacolati e vivificanti misteri. Ti prego dunque, o buono e amico degli uomini: custodiscimi sotto la tua protezione all'ombra delle tue ali e concedimi di partecipare degnamente ai sacri misteri con coscienza pura fino al mio ultimo respiro, per la remissione dei peccati e la vita eterna". "Il pane mangiato deve renderci pane; come Ignazio d'Antiochia che, nel momento del martirio si immaginava "frumento di Dio" e come, secoli dopo, una ragazza ebrea morta nel lager di Auschwitz concludeva in modo analogo: "Ho dato il mio corpo come se fosse pane e l'ho distribuito agli uomini, perché no? erano affamati e da tanto tempo" (E. Hillesum) (dal commento al libro dell'Esodo di Antonio Nepi).


Apoftegmi - Detti dei Padri

Alcuni anziani si recarono in visita da Abba Poemen e chiesero: "Secondo te, quando in chiesa sorprendiamo i nostri fratelli a sonnecchiare, è opportuno pizzicarli per farli svegliare?". L'anziano rispose: "Se vedessi un fratello sonnecchiare, gli appoggerei la testa sulle mie ginocchia e lo lascerei riposare".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

IL SEGNALE PER L'ORA DELL'UFFICIO DIVINO

La cura di dare il segnale per l'Ufficio divino di giorno e di notte l'abate la prenda lui personalmente, oppure la affidi a un fratello molto sollecito, in modo che tutto si compia alle ore stabilite. In quanto ai salmi e alle antifone, le cantino da soli dopo l'abate soltanto i fratelli che ne hanno avuto il compito, seguendo il loro turno. E non ardisca cantare o leggere se non chi è in grado di compiere tale ufficio in modo da edificare chi ascolta; e ciò sia fatto con umiltà e gravità e riverenza; e soltanto da chi ne abbia avuto l'incarico dall'abate.


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