Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Domenica 10 ottobre 2004

Ricercato, guarito, per essere inviato

Gesù si dirige a Gerusalemme e il suo cammino passa attraverso la Samaria e la Galilea. Il Signore passa attraverso il popolo considerato infedele (i samaritani) che sta proprio ad indicare la nostra infedeltà, passa inoltre nella nostra quotidianità (Galilea). Gesù incontra dieci lebbrosi i quali si tengono a distanza, i lebbrosi sono contaminati e possono contaminare anche gli altri per questo, secondo la legge, sono esclusi dalla comunità. Nei lebbrosi ci possiamo identificare tutti noi che a causa del peccato, la vera lebbra dell'anima, ci teniamo a distanza da Dio. I lebbrosi alzarono la voce dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà". La distanza sembra essere superata dal grido, "la preghiera dell'umile penetra le nubi" (Sir35,17a). "Chiunque invoca il nome del Signore sarà salvato"(Gl.3,5). Il povero grida perché Cristo gli è andato incontro, perché Lui stesso si è fatto povero per cercarlo. Si invoca qualcuno che si conosce, si grida quando si percepisce la presenza divina! Gesù li invia dai sacerdoti e durante il cammino guariscono. Quando ci si mette in cammino siamo già sulla via della guarigione, il pentimento già ci fa sperimentare il perdono. Dei dieci, solo uno, vedendosi guarito, ritorna per ringraziare Gesù. Riconoscere l'opera di Dio, i miracoli che ogni giorno si ripetono è un dono dello Spirito Santo che ci spinge a ringraziare il Signore.
Possiamo essere ricchi di doni e non riconoscere l'Amore, infatti ci possiamo attaccare più ai doni, al voler sistemare le nostre comodità che al Signore della vita. Solo la fede opera la vera guarigione che è quella dell'anima. E' questa la storia di Naam il Siro, anche lui straniero che viene guarito dalla lebbra dall'uomo di Dio, Eliseo. Viene guarito bagnandosi nelle acque del Giordano, che in modo simbolico rappresenta il nostro battesimo. Anche in Naam nasce la gratitudine, vuole ripagare quanto ha ricevuto, ma Eliseo gli ricorda la gratuità di Dio.
E' la storia di Paolo che toccato dalla grazia di Dio, diventa annunciatore con la vita.
A causa del Vangelo è incatenato come un malfattore, custodendo nel cuore la certezza che la Parola di Dio non può essere incatenata. Gli ostacoli, le persecuzioni, la croce rendono feconda l'evangelizzazione e ne garantiscono l'autenticità. Con forza san Paolo incoraggia Timoteo, e ognuno di noi, a perseverare. Egli è lieto delle sofferenze che sopporta per gli eletti. Completa nella sua carne quello che manca ai patimenti di Cristo. La sua vita è diventata una lode al Signore, un sacrificio vivente, per il bene della Chiesa.
Questa potrebbe essere anche la storia di ognuno di noi, di chi si sente escluso, straniero, infedele, malato, peccatore, di chi è nella Chiesa e sta vivendo nell'aridità, nel non senso della vita, nello sconforto, nella freddezza, nell'oscurità. Il Signore ci viene incontro, ci chiama, ci dona la salvezza.
Oggi possiamo intraprendere un nuovo cammino, ma non con lo sguardo rivolto su noi stessi ma su Gesù Cristo, appoggiati alla sua fedeltà. "Anche se lo rinneghiamo egli rimane fedele perché non può rinnegare se stesso". Lasciamoci afferrare dal suo amore che ci fa nuove creature, che ci spinge a portare l'annuncio ai fratelli. Sempre S. Paolo ci ricorda quando è importante annunciare Gesù Cristo. " Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza che uno lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati?".
Lo Spirito Santo ci doni di sentire nel nostro cuore l'urgenza di evangelizzare per poter sperimentare che andando incontro all'altro siamo guariti dal nostro egoismo, che mettendoci a disposizione degli altri siamo noi a ricevere la vita e la gioia!


Apoftegmi - Detti dei Padri

Pazienza

L'abba Pastor diceva: «Quali che siano le tue pene, la vittoria su di esse sta nel silenzio».

Un giorno che i fratelli si erano riuniti a Scete, alcuni anziani vollero mettere alla prova l'abba Mosè: si fecero sprezzanti e gli dissero: «Perché questa specie di etiope viene tra noi?». L'abate tacque udendo queste parole. Di ritorno dall'assemblea, quelli che lo avevano ingiuriosamente trattato gli dissero: «Non sei turbato?». Egli rispose: «Sono turbato, ma non dico niente».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I VECCHI E I FANCIULLI

Sebbene la natura umana sia per se stessa portata a compassione verso queste due età, cioè dei vecchi e dei fanciulli, tuttavia è bene che intervenga in loro favore anche l'autorità della Regola. Si tenga sempre conto della loro debolezza e non si applichi affatto ad essi il rigore della Regola riguardo al vitto; si abbia piuttosto verso di loro un'amorevole condiscendenza e anticipino pure le ore regolari dei pasti.


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