Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Domenica 10 agosto 2003

Io sono il pane di vita.

La liturgia odierna ci presenta Gesù come pane di vita, come pane che dona la forza per camminare nell'amore. Per accogliere questo dono però è necessario accostarsi ad esso con la sapienza che viene da Dio. Nella prima lettura incontriamo il profeta Elia, stanco e affamato. Forse anche un po' sconfortato… E' al Suo servizio, al servizio di Dio. E Dio non abbandona mai i suoi servi fedeli. Manda un angelo con il cibo per saziare Elia. E «con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb». Forse anche a noi è capitato di essere presi dallo sconforto, proprio come Elia o mormorare come i giudei del Vangelo. Abbiamo mancato di fiducia. Che cosa fare in questi casi? Come Elia, per riprendere il cammino, abbiamo bisogno di mangiare, abbiamo bisogno di mangiare il pane della vita eterna, cioè l'Eucaristia. Non è un semplice pane, è un pane che dà la vita, la vita eterna, è il corpo di Cristo. Il ritornello del salmo ci fa ripetere: il tuo pane, Signore, sostiene i poveri in cammino. Noi siamo poveri in cammino verso l'Oreb, verso Dio, e, abbiamo bisogno di nutrirci di questo pane, pane celeste. Rinforzati da questo cibo diventiamo imitatori di Dio e possiamo amare come Cristo. Possiamo e dobbiamo sostenere i nostri fratelli, in cammino come noi, verso Dio, togliendo dal nostro cuore ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Con Lui possiamo farcela.


Io sono il pane vivo disceso dal cielo.

La persona di Cristo, quello che egli è, quello che dice, quello che egli fa, può essere compresa solo e soltanto alla luce della fede. Credere in Lui, lo dice lo stesso Gesù, è “l'opera di Dio”. Senza la luce soprannaturale della fede ci capita, come accadeva ai giudei contemporanei di Cristo, di conoscerlo e definirlo secondo criteri e giudizi solo umani. Così accade che il Figlio di Dio diventa il figlio del carpentiere e, ancor peggio, le sue parole risultano spesso strane, incomprensibili e persino blasfeme. Il discorso del pane di vita suscita stupore e scandalo: risuona come una assurda proposta di cannibalismo; gli stessi apostoli ne risultano disorientati e molti smettono di seguirlo. Davvero le dimensioni dell'amore divino non possono mai e poi mai essere comprese con la fioca luce dell'intelligenza umana. Gesù accompagna le sue solenni dichiarazioni con segni evidenti della sua potenza divina: moltiplica pani e pesci, cammina sulle acque, risuscita morti, sana i malati…, ma senza la fede tutto è vano. Fede e amore ci proiettano verso il divino. L'umiltà del cuore ci rende capaci di accettare anche ciò che trascende la logica umana. Sarà poi l'esperienza a renderci certi della immensità del sono. San Paolo aveva acquisito in pieno tale certezza; lo afferma dicendo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”. La stessa esperienza ci è concessa ogni volta che ci accostiamo con fede e devozione al sacramento dell'Eucaristia. Così sperimentiamo realmente gli effetti salutari che Cristo opera in noi quando fonde la sua carne nella nostra e riversa il suo sangue divino nelle nostre vene. Così Cristo vive in noi e noi in Lui nella perfetta comunione di vita.

Apoftegmi - Detti dei Padri

«Abba Poemen ha riportato queste parole di abba Ammone: "Un uomo passa tutto il suo tempo a portare la scure e non riesce ad abbattere l'albero; c'è un altro invece che è esperto nel tagliare e con pochi colpi lo fa cadere". E diceva che la scure è il discernimento».


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

L'UMILTÀ

Quindi, fratelli, se vogliamo toccare la vetta della più grande umiltà, se vogliamo giungere velocemente alla esaltazione celeste a cui si sale attraverso l'umiltà della vita presente, dobbiamo innalzare, ascendendo con le nostre azioni, quella scala che apparve in sogno a Giacobbe e per la quale egli vide angeli che scendevano e salivano (cf. Gen 28,12). Per noi quel discendere e quel salire stanno senz'altro a significare che con la superbia si discende e con l'umiltà si sale.


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