Liturgia della Settimana

preparata dai giovani monaci del monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)

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Commento alle Letture

Sabato 28 giugno 2003

Egli ha preso le nostre infermità si è addossato le nostre malattie.

Dai Vangeli appare chiaro che giudizi diametralmente opposti suscita Gesù nei suoi uditori: alcuni lo esaltano, credono in Lui, lo riconoscono come il profeta inviato da Dio, lo identificano con il Messia atteso, gli riconoscono una "autorità" che non riescono a scorgere nei capi religiosi del tempo. Altri tramano continuamente contro di lui cercando subdoli e maligni pretesti per accusarlo. Coloro che lo cercano sono prevalentemente i poveri e gli umili, i puri di cuore, quasi naturalmente aperti al suo messaggio di novità e di amore che egli va proclamando. Oggi costatiamo un'eccezione: è un centurione, un pagano, a cercarlo. Viene ad implorare la guarigione non per se, non per un suo famigliare, ma per un suo servo, che giace paralizzato e soffre terribilmente. "Io verrò e lo curerò", dice il Signore. Venire per curare anime e corpi è la sua missione e non si sottrae al suo compito. Egli si compiace della fede di quel pagano che non si ritiene degno di accogliere il Signore sotto il suo tetto, convinto che una sua parola è già sufficiente per ottenere quanto desidera. Gesù vede con gioia che il suo annuncio sta gia valicando e valicherà i confini del popolo d'Israele per spaziare ovunque troverà accoglienza nella semplicità e nella purezza del cuore. "Và, poi dice al centurione, sia fatto secondo la tua fede". Davvero il Signore Gesù è venuto a colmare ogni distanza; Egli non è legato al tempo e allo spazio perché "Egli comanda e tutto è fatto", ha in se tutta la potenza di Dio. L'unica condizione siamo noi a porla e riguarda appunto la nostra fede. Altra certezza c'infonde l'istantanea guarigione della suocera di Pietro: questa volta egli tocca la mano dell'inferma e subito la febbre scompare ed è pronta a servire il Signore. Egli ancora ci tocca per guarirci, ancora viene a noi e prende dimora dentro di noi per inabitare nei nostri cuori. Ci tocca nella realtà e nel mistero della santa Eucaristia che prendiamo nelle nostre mani per poi fonderci con Lui nell'intimità della perfetta comunione. Egli viene e ci tocca nell'intimo per prendere le nostre infermità e addossarsi le nostre malattie, quelle personali e quelle più profonde della nostra umanità. È importante, decisivo lasciarsi toccare!


In vigilia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo:

La prova dell'amore.

“Chi vuol essere il primo tra voi sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti” – Così ammoniva i suoi il Signore, mentre li preparava alla missione di annunciatori e testimoni del suo Regno. Per confermarli in questa dottrina e convincerli per sempre, si era prostrato dinanzi a loro proprio come uno schiavo e si era messo a lavare loro i piedi. Nella sua passione e morte darà poi loro e al mondo intero la suprema testimonianza dell'amore con il dono della vita. Pietro ha peccato di presunzione, aveva confidato in se stesso e nelle sue forze e poi per tre volte aveva rinnegato il suo Maestro. Oggi Gesù gli offre l'occasione di riparare completamente al suo peccato sollecitandolo a dichiarare in atteggiamento di grand'umiltà il suo amore e la sua fedeltà. È un modo diverso e più completo di affermare il primato che Gesù già gli aveva conferito, dichiarandolo “pietra” su cui la chiesa dovrà porre le sue salde fondamenta. Il primato essenziale da esprimere da primo degli apostoli è l'amore a Cristo, il presupposto indispensabile per pascere il gregge. È davvero speciale l'autorità che sgorga dall'amore e non dal potere! Lo stesso Paolo dichiarerà di aver ricevuto tutto da Cristo e di farsi tutto a tutti per suo amore. Su questa scia la chiesa ha offerto al mondo la migliore testimonianza. Ha invece vissuto i momenti peggiori quando ha smesso di amare e si è dotata di poteri umani e temporali. Sarebbe utile che ogni testimone, ancor più ogni apostolo, si sottoponesse allo stesso esame di Pietro: “Mi ami tu più di costoro?”.

Apoftegmi - Detti dei Padri

Il Padre Titeos disse: "Dominare la propria lingua: ecco la vera virtù".


Dalla Regola del nostro Santo Padre Benedetto

I FRATELLI SI OBBEDISCANO A VICENDA

Se poi un fratello, per qualsiasi anche minima ragione e in qualunque modo viene ripreso dall'abate o da un altro superiore, o se si accorge che l'animo del superiore è leggermente, per quanto poco, irritato o turbato contro di lui, subito, senza indugio, si getti ai suoi piedi e rimanga lì a dare soddisfazione, finché quegli con la sua benedizione non mostri che la sua alterazione è passata. Chi rifiuta per disprezzo di compiere tale gesto, sia sottoposto al castigo corporale; se poi rimane ostinato nel suo atteggiamento, sia cacciato dal monastero.


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